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Giudizi temporali e universali

di Alessandro Borgogno - 5/4/2005

Più o meno verso l’ora di pranzo di Sabato 2 Aprile, data destinata inevitabilmente a divenire storica, ero nella Cappella Sistina, a pochi corridoi di distanza dal Palazzo Apostolico Vaticano, dove Papa Woytila stava velocemente scivolando verso la morte, e dove l’avrebbe raggiunta definitivamente poche, pochissime ore dopo.

Ero lì, avendo la fortuna sfacciata di vivere a Roma e di poterlo fare ogni volta che ne sento il bisogno, ad ammirare ancora una volta uno dei luoghi più belli del mondo, uno scrigno irrepetibilmente denso di Arte, di Bellezza, di Forza, di Forme, di Colori e di Passione.

Quasi l’opposto di ciò che stava accadendo a pochi metri di distanza.

Di là la morte nella sua rappresentazione forse più serena, più consapevole, più libera da conflitti, evoluzione naturale dello sfinimento del dolore e della sofferenza prolungati, lenta e inesorabile.

Di qua morte e resurrezione dell’intera umanità nella loro rappresentazione più vitale, violenta, conflittuale. Immense forze in gioco, corpi contorti, gesti assoluti e temporanei insieme, sangue, sudore, acque rosse e cieli blu cobalto, immense forze in contrasto tra loro che neanche il gesto imperioso di un Cristo possente e onnipotente riesce davvero a governare ma solo a contenere e in parte ad indirizzare.

E in alto, sulla volta, colori più tenui e mille sfumature ma che raccontano anche lì di forze immani: creazioni, diluvi, stelle che si accendono e vita che nasce dalla sola forza di gesti semplici e assoluti di un Dio dallo sguardo severo e potente, che per sprigionare la sua potenza creativa non si limita alla forza dello spirito, ma mette in moto il suo corpo con energia fisica, volo pesante, indicando e disponendo con gesti plateali e irrimediabili.

Come in pochi altri posti al mondo, da quell’esagerato concentrato di Arte e di Storia (si dimentica sempre, ma le altre pareti della Sistina sono piene di altri nomignoli come Botticelli, Perugino, Ghirlandaio, …) si esce frastornati, con lo sguardo esausto e incapace di guardare altro.

E si esce con un senso di grandezza del gesto e del significato dei gesti indissolubilmente legato alla capacità dell’uomo o dell’artista, se ce l’ha, di andare contro le convenzioni, di affrontare i contrasti, studiarli, rappresentarli e renderli espliciti per guardare avanti, così come fu capace di fare Michelangelo rendendo l’anticonformismo eterno e rinnovabile ogni volta che lo sguardo si posa sul suo capolavoro assoluto, su quei muscoli tesi, su quelle masse di energia in movimento, su quel blu assordante.

Impossibile quindi, in questa coincidenza di visioni e di avvenimenti, non pensare che proprio lì dentro, fra pochi giorni, si riuniranno in segretissimo Conclave i cardinali incaricati di scegliere il successore di Giovanni Paolo II, ennesimo successore di Pietro.

Lì dentro, circondati e sovrastati dall’immensa forza rivoluzionaria delle immagini e dei colori di Michelangelo.

Nulla o quasi si saprà delle strade tortuose che guideranno gli animi e le menti nella loro scelta, ciò di cui sono convinto però è che se la loro scelta sarà convenzionale, o “di transizione” come molti dicono, vorrà dire che i cardinali avranno tenuto gli occhi bassi, guardandosi tra loro e guardandosi le vesti di porpora e gli abiti immutabili.

Se invece la scelta sarà in qualche modo “moderna”, coraggiosa e innovativa, vorrà dire che avranno alzato gli occhi e lo sguardo in alto, sopra l’altare e verso la volta.

 

Nel 2010, questo articolo è stato inserito nella raccolta Attraverso le forme, che potete trovare qui.

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