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Questa è la storia...

di Francesca Lozito - 5/4/2005

E’sospesa tra leggenda e verità la storia che Paolo VI volesse vendere la Pietà di Michelangelo per contribuire all’estinzione del debito dei paesi poveri. Giovan Battista Montini, il papa venuto da Brescia, che quando era sostituto alla segreteria di stato Vaticana strizzava l’occhio ai filosofi d’Oltralpe invisi al regime fascista e ne diffondeva i testi clandestini tra gli universitari cattolici, non era uomo che amava i gesti plateali.

Veniva, il suo, dopo il pontificato di un altro papa lombardo, ma di tutt’altra estrazione: borghese Montini, contadino Angelo Roncalli, che prese il nome di Giovanni XXIII. Era anziano, e quando salì al soglio pontificio i cardinali “orchestratori” pensarono di poter fare e disfare della vita del Vaticano a loro piacimento. Sbagliarono di grosso: in un lustro il Papa Buono conquistò i cuori della gente con la voce dolce e le carezze da portare ai figli a casa. Ma anche con la grande intuizione che la Chiesa andava aperta al “nuovo”: l’unica strada, il Concilio. Inizia con Giovanni XXIII il dialogo ecumenico, soprattutto con la Chiesa anglicana, dopo secoli di freddezze.

A Paolo VI spetterà poi il compito di portare a termine quel rinnovamento del Concilio. Con l’ardua incombenza di scontrarsi con una modernità che, a seconda dei casi, prendeva una forma diversa: divorzio, aborto, cattolici del dissenso, posizione della Chiesa sulla contraccezione. Papa Montini scelse la strada più semplice, ma anche più lontana dalla sua formazione: negli ultimi anni di pontificato lanciò la sua richiesta di aiuto ai nascenti movimenti. Che risposero senza indugi.

Poi venne Albino Luciani, da Belluno, Giovanni Paolo I. Fece appena in tempo a salire al soglio, che subito ne discese, stroncato dai malanni che lo accompagnavano fin da bambino. Si dice che anche lui volesse mettere mano al denaro di Santa romana Chiesa, riformando la Banca Vaticana.

Questa è la storia, sommaria, dei Pontefici della seconda metà dello scorso secolo. Sono le premesse per l’avvento di Giovanni Paolo II, che – nessun vaticanista prestigioso lo ha ricordato in questi giorni – raccoglieva grandi simpatie anche da Paolo VI.

Pur con tutto il profondo rispetto cristiano, dovuto a un Papa dal pontificato lungo, che si è imbattuto ed ha favorito a suo modo alcuni importanti cambiamenti storici, che ha avuto grandi intuizioni comunicative (fra tutte la Giornata dei giovani), la storia di Giovanni Paolo II non va assolutizzata.

La saggezza popolare dice che morto un Papa se ne fa un altro, e non c’è cattiveria in questa affermazione: il Papa è un Vicario di Cristo in terra, destinato a vivere le contraddizioni del mondo ed a dare delle risposte da uomo, per quanto con un compito particolare.

Morto un Papa se ne fa un altro: la Chiesa, ma soprattutto i tanti fedeli le cui parole sono state sparate dai tubi catodici di tutta Italia in questi giorni, disperati nel tono con cui hanno affermato “Non so come faremo senza di lui”, dovrebbero sapere, da laici maturi, che nel Vicario che verrà bisogna riporre le speranze di poter guardare avanti, in un mondo in cui la Chiesa non può che essere parte del dialogo, nella ferma opposizione a tutte le ingiustizie del mondo.

 

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