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Giullarate

di Alessandro Borgogno - 5/11/2005

Di solito non parliamo di tv, ma in questo caso parto da un “evento” televisivo, in realtà però come pretesto, perché c’è qualcosa di tremendamente sospetto nell’unanime coro di consensi sull’esibizione di Roberto Benigni nella seconda puntata del programma tv di Adriano Celentano, soprattutto in confronto alle violente reazioni di scomunica scatenatesi a seguito della prima puntata dello stesso show.

Senza bisogno di fare le solite premesse su Benigni, bravissimo divertentissimo e anche intelligente, la differenza fondamentale fra la sua performance e le cose dette nella prima puntata risiede, banalmente, nel suo ruolo. Nell’esordio Celentano aveva dato nient’altro che una notizia (il posto infimo assegnato all’Italia nelle classifica mondiale della libertà d’espressione), che è una notizia reperibile facilmente in internet e che ad esempio Beppe Grillo strilla in tutti i suoi spettacoli, quelli che naturalmente non vedremo mai trasmessi in tv.

Celentano ha poi fatto parlare Santoro, giornalista censurato e cacciato dalla RAI per aver dato semplicemente informazioni, notizie, e per aver detto, molto banalmente, quello che pensava e basta.

Ed è proprio questo che non andava bene, dare notizie vere e far dire a qualcuno ciò che veramente pensa. Benigni invece ha fatto il suo consueto show, irresistibile e brillantissimo come sempre, ma ha recitato la sua solita parte, quella che gli riesce meglio. Il giullare.

Non è un termine casuale, né lo è il fatto che molti dei commentatori lo abbiano proprio chiamato così: “un fantastico giullare”.

Dimentichiamo probabilmente che la figura del giullare, spesso, ha una caratteristica (e una connotazione) ben precisi: si chiama "Giullare di Corte".

Egli poteva, almeno nella sua figura più storicamente legata al Medioevo, sbeffeggiare il re, ma era pagato dal re, e sopravviveva grazie a lui. Il re ogni tanto si poteva infastidire se il giullare esagerava, ma era ben raro che gli tagliasse davvero la testa, era la sua garanzia di democraticità: divertiva il popolo, ed era la prova vivente del fatto che il re era così buono e saggio da accettare anche gli sberleffi.

Benigni è bravo ed è anche sincero nel fare il suo lavoro, ma a differenza di Santoro, Guzzanti, Grillo, Luttazzi,Travaglio, Biagi, perfino Fazio con il tentativo di televisione indipendente La7 uccisa nella culla, lui non è stato mai, dico mai, censurato.

Perché è innocuo.

 

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