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Note su una vendetta dal sapore agrodolce

di Lisa Della Volpe  - 4/2/2007

Due settimane fa ho ricevuto una telefonata. Dall’altra parte c’era un pezzo grosso, un funzionario di fama internazionale nel mondo della storia dell’arte. Mi annunciava il suo arrivo a Roma e mi comunicava il desiderio di incontrarmi.

Poco è bastato ad inorgoglirmi! Gongolante, ma senza troppe illusioni, mi figuravo le due possibili ragioni dell’incontro. La prima decisamente ottimistica: una bella proposta di collaborazione, di scambio di idee su un argomento di studio comune e magari un incarico di ricerca (di certo non alla pari, conoscendo il tipo). La seconda, molto più solida e concreta: la vecchia volpe, presupponendo che avessi per le mani qualcosa di interessante, voleva sondare il terreno e scoprire eventuale materiale inedito a mia disposizione che io, con generosa sudditanza, avrei dovuto concedere in virtù della sua fama, in cambio di un semplice ringraziamento e forse di una copia omaggio del libro.

In ogni caso, si presentava su un piatto d’argento la mia occasione! Qualunque fosse la ragione, potevo finalmente mettere un punto ad una storia vecchia di anni che ha lasciato strascichi pesanti e una ferita profonda, condizionando, insieme ad altri episodi simili, le mie scelte professionali. E così è stato: mi sono presa la mia rivincita con grande signorilità, dando prova di generosità intellettuale e di corretta professionalità, non di accondiscendenza né di riverenza, concedendo quanto bastava e allo stesso tempo facendo capire la bassezza degli espedienti da lui escogitati, in passato come adesso.

Per la cronaca, la ragione dell’incontro era ovviamente la seconda ipotesi.

Per la cronaca, la mia risposta è stata una lettera esplicita quanto basta per sottolineare il suo immorale comportamento e l’assurda pretesa di incontrarci. Tuttavia, per coerenza con i miei principi professionali, non vedevo ragione per negargli il materiale già pubblicato!

Per la cronaca, il lavoro del luminare era “quasi terminato” anni fa, e proprio per questo aveva rifiutato, giudicandolo del tutto superfluo, il mio apporto persino per le parti più noiose (bibliografia, schede delle opere e ricerche di archivio a Roma).

Sempre per la cronaca, l’annuncio di una imminente pubblicazione era stato dato fin dal 1969! Prima della mia nascita! Forse, se fossi nata prima, avrei avuto qualche diritto in più di rivendicare la mia libertà intellettuale! All’epoca egli aveva detto che non potevo aggiungere nulla a quello che lui già sapeva… Forse ha trovato anche lui un dipinto di collezione privata nel Frusinate e forse ha trovato anche lui la notizia della scoperta di 4 dipinti avvenuta a metà del XVII secolo! Lo sapremo fra qualche anno, se tutto va bene, quando uscirà finalmente il suo libro!

A chi avrebbe da ridire sulle mie scelte e mi compatisce e mi consola-rimprovera con la solita frase: “Cosa vuoi farci??? Il sistema funziona così e se vuoi lavorare devi adattarti”, rispondo con rabbia che ci sono tanti sistemi per tener fede ai propri sogni, per rispettare se stessi e per fare in modo che gli altri ti rispettino, senza dover cedere a ignobili giochi.

L’alternativa è stare zitti, come alcuni mi suggeriscono di fare, e sopportare che il prepotente di turno imponga i suoi metodi facendo credere che certi comportamenti, in quanto ormai abitudini consolidate e universalmente (o meglio italianamente) praticati, siano la regola, la norma, la legge non scritta alla quale è impossibile sottrarsi.

Questa è mafia e non è solo a Napoli, come in un bell’articolo su Il Venerdì di Repubblica della scorsa settimana.

Se ci danno dei mafiosi, non indigniamoci, non sentiamoci feriti, ma difendiamo la correttezza dei pochi e annulliamo la scorrettezza dei molti, e non in virtù della effimera convenienza personale. Stupiamoci che avvengono certe cose, dal delitto di Erba alle violenze sui bambini, allo squallore delle periferie di troppe città, al clientelismo delle nostre università e del mondo intellettuale, perché lo stupore indica che ancora siamo capaci di vedere i fatti, che non sono scontati, che non sono banali, che non sono cose viste, riviste e perciò metabolizzate. Ma non pensiamo che siano fatti di competenza dei soli diretti interessati.

Sulla tv olandese in un documentario tri-lingue (inglese, italiano, olandese) su Napoli, l’epilogo mai tanto attuale della giovane reporter olandese suonava più o meno: “Si dice Vedi Napoli e poi muori; il nocciolo è in realtà sapere se riesci a sopravvivere!”.

Da estendersi a tutta l’Italia. Da sostituire Napoli con Roma, o Firenze o qualunque altra città. A voi la scelta.

 

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