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E se la via più breve fosse quella... diretta?

di Ilaria Scala - 26/2/2007

Poiché la linea editoriale di Parolae prevede - per umiltà organizzativa, non certo per snobismo - che non si scriva mai di cose di strettissima attualità, eccoci a ragionare sui Dico quando ormai non vanno più di moda; eccoci a dire come la pensiamo (come la penso io, va, chissà il resto della redazione come la pensa) quando, per dolo per caso o per ventura, per due stracci di voti storti a proposito dell'Afghanistan, i Dico sono usciti dall'agenda di questo governo e dei prossimi chissà quanti.

Per me una coppia di fatto non è una famiglia di per sé. Per me, ma - pare - anche per il disegno di legge.

Abitiamo in un Paese in cui se si vuole formare una famiglia bisogna dirlo, e firmare un contratto. E sciogliere quel contratto è possibile, anche se non facilissimo (né emotivamente - per fortuna -, nè proceduralmente).

Questa cosa non c'entra niente con la religione.

Chi vuole, forma una famiglia cattolica. Che non si può sciogliere in nessun caso. E ciò disturba la razionalità dei più (mette paura, come tutte le cose irreversibili), ma rischia di essere, paradossalmente, più realistico dell'idea che si possa cancellare un progetto a lungo termine - laddove esso è stato intrapreso con le dovute consapevolezza e impegno - e pretendere di farne "regredire" le conseguenze (quelle sì, spesso, irreversibili).

Chi non vuole (chi è ateo, chi non è cattolico, chi sposa un non-cattolico, chi se la sente di sfidare le convenzioni, chi non ci crede fino in fondo, chi preferisce così), forma una famiglia. Una famiglia e basta, senza aggettivi. Che è comunque, di fronte allo Stato, una famiglia a tutti gli effetti, altrettanto importante, altrettanto riconosciuta e rispettata.

Sono contraria ad una interpretazione dei Dico che crei una dicotomia (il gioco di parole è voluto) tra famiglia cattolica e coppia di fatto. Non è questo il punto, non è questa la contrapposizione da sottolineare. Se i Dico regolamentano i diritti di coppie che vogliono essere coppie pur non avendo firmato un contratto matrimoniale, essi contrappongono tali coppie alle famiglie italiane in genere, e non alle famiglie cattoliche. Se vogliamo estremizzare con una semplificazione, le coppie di fatto "somigliano" di più alle famiglie non cattoliche, perchè quelle cattoliche aspirano a qualcosa di talmente più Alto che non dovrebbero sentirsi minimamente minacciate dalla creazione di un nuovo istituto.

Non capisco perchè la Chiesa si scaldi tanto sulla questione (lo capisco, certo, storicamente e politicamente. Non lo capisco nella sostanza, nei principi): le famiglie cattoliche restano incomparabili con qualsiasi altra istituzione. Chi crede del matrimonio cattolico continuerà a sposarsi esattamente come e quanto prima, e non si accontenterà di un'iscrizione anagrafica inviata per raccomandata. Non capisco perchè la Chiesa accetti l'idea che esista un matrimonio laico (che può esistere, se non erro. Si può essere cattolici anche se non si è sposati in Chiesa... un po' contraddittorio, ma tecnicamente possibile), e non faccia il diavolo a quattro per farlo eliminare dalla legislazione italiana (è una minaccia ENORME alla famiglia cattolica, il fatto che ne possa esistere una di altro genere... rischia di piacere di più al target, di essere più "trendy"... o no?).

Sono invece gli altri, le famiglie laiche, che dovrebbero interrogarsi davvero sull'opportunità (ormai svanita) di istituire i Dico. Perchè è con loro, con i loro diritti civili, che le coppie di fatto sono in concorrenza. Perchè gli sposi laici potrebbero chiedersi, a parità di Amministrazione (lo Stato Italiano, e non Dio), chi glielo faccia fare, a loro, di pensarci a fondo, impegnarsi per la vita, firmare senza condizioni, e in caso di ripensamento affrontare lo stillicidio (emotivo e procedurale) del divorzio, se può bastare una raccomandata con ricevuta di ritorno per ottenere (quasi) lo stesso risultato. Molto meno sforzo per poco meno in cambio.

Sono gli altri, le famiglie e basta, che dovrebbero chiedersi che bisogno hanno, quelli che non se la sentono di prendere impegni per la vita, di "rosicchiare" diritti - benché pochi, benché per ora "minori" - senza prendersi molti impegni in più.

Ma non sarà che l'unico obiettivo vero dei Dico è quello - inconfessabile, per carità! - di riconoscere alcuni diritti di convivenza alle coppie omosessuali, che attualmente - e giustamente, secondo me - non hanno la possibilità di accedere a matrimonio alcuno?

Possibile che in Italia, per riconoscere i diritti di alcune categorie di persone (magari non gradite alla Chiesa, ma effettivamente esistenti, in quanto vive e dotate di umanità), sia necessario "travestire" i provvedimenti più banali da innovazioni sociali di portata universale, che fanno male al Papa e ai Cardinali senza minimamente riguardarli (né loro personalmente, intendo, né le loro pecorelle), che fanno perder tempo a fior di parlamentari (prima nell'ideazione delle regole e poi nella scelta della formulazione linguistica che le renda il più neutre possibile), che scatenano polemiche nei salotti televisivi e sulle pagine dei giornali, che rischiano di scontentare gli sposi laici che non interessano quasi a nessuno (non hanno, loro, un Dio che li difende... e che ci pensi lo Stato, ad aiutarli a nascere e ad arrivare a fine mese, è fuori discussione)?

Ma non sarà che inventarsi il "Frocimonio", senza passare dalle coppie di fatto, rischiava di essere più semplice, a patto di presentarla come una cosa che non competeva con nient'altro?

Non poteva scontentare la Chiesa: perchè il cattolico eterosessuale non sceglierebbe mai il "Frocimonio", perchè ciò implicherebbe diventare omosessuale, il che potrebbe risultargli scomodo; e il cattolico omosessuale al momento ha due scelte: o "smettere" di essere omosessuale o smettere di essere cattolico. In ognuno dei due casi, una volta compiuta la sua scelta, la contrapposizione tra i due istituti non lo riguarda più.

Non poteva scontentare le famiglie laiche: perchè non se ne stava creando un "surrogato", ma una cosa che proprio non esisteva, e che, al di là delle convinzioni individuali e personali, in qualche modo "mancava" tra gli istituti civili che sostengono e facilitano la vita delle persone.

Ma non sarà che, come al solito, noi Italiani sfruttiamo la nostra complessità intrinseca (bella, la complessità! Quanto ci crogioliamo nella nostra complessità!) per alzare un tal polverone, per fare un tal casino, che alla fine non se ne fa più niente?

Ma non sarà che la via più breve era - lapalissianamente - quella più diretta?

 

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