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Il ciclismo merita di più

di Andrea Scala - 30/11/2008

Nello sport si parla tanto di doping, cioè dell’acquisizione di sostanze illecite atte a modificare le prestazioni degli atleti; e non mancano i soliti soloni che lanciano anatemi (chissà come mai, invece, non ci si scandalizza altrettanto per tutte le sostanze stupefacenti che vengono quotidianamente consumate da persone di tutti i ceti).

Restando in tema di doping, diamo uno sguardo allo sport che ne sembra maggiormente coinvolto: il ciclismo. Gli organi dirigenti di questa disciplina hanno deciso di stroncare la piaga: proprio nel ciclismo, infatti, gli episodi di atleti colti in fallo sono tanti e sempre più frequenti. Tra gli sport più popolari, solo l’atletica leggera sembra volersi muovere su questa strada.

Da una parte ci sono i 'cattivi' che, a puro scopo speculativo, studiano nuove sostanze con sempre maggiori capacità dopanti, e che possano nel contempo sfuggire ai controlli. E, dall’altra parte, ci sono i 'buoni' che affinano le tecniche per rendere i controlli stessi sempre più efficaci. Sembra un continuo inseguimento di “guardie e ladri”.

Mettendomi nei panni dei corridori, devo ammettere una certa comprensione per la loro inclinazione a cadere in tentazione. Non è giusto, è un imbroglio e fa male alla salute. Ma pur con tutti gli allenamenti e con un appropriato stile di vita, come è umanamente pensabile che con le loro sole capacità gli atleti possano sopportare le fatiche sempre più pesanti che gli organizzatori si ingegnano ad inserire nelle corse a tappe? Infatti è in questo tipo di gare che si registrano più spesso casi di doping. Certo, i 'tapponi' dolomitici o pirenaici hanno fatto scrivere pagine epiche della storia del ciclismo. E i tifosi godono ed esaltano gli atleti, salvo rinnegarli al primo sbaglio. Ma ci si rende conto della fatica di due, tre o quattro giorni consecutivi di tappe in salita?

Al dunque: che male ci sarebbe se i vari Giri prevedessero, ad esempio, che le cosiddette tappe di trasferimento venissero abolite, ed i trasferimenti venissero effettuati con mezzi diversi dalla bicicletta? (Tanto il più delle volte queste tappe non hanno alcun senso e vengono “corse” solo negli ultimi chilometri). Forse non si vuole rinunciare ai soldi che le varie Pro-Loco sganciano per far passare o sostare il Giro nelle rispettive città? Ai bravi organizzatori non dovrebbero mancare le idee per far fronte a questo problema. E perché non consentire un congruo riposo dopo una tappa che si sa essere oggettivamente molto faticosa? Se questo è il ritmo, non ci si scandalizzi se poi i corridori ricorrono a “un aiutino”.

In definitiva, basterebbe rendere meno “sadiche” le corse. Perché, nell’opinione pubblica, è ormai invalsa la convinzione che a vincere il Giro è colui il cui “aiutino” non è stato ancora scoperto. Il ciclismo e i ciclisti non lo meritano.

 

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