editoriali

 

Sciacalli

di Alessandro Borgogno - 10/2/2009

Abbiamo tentato il silenzio ma è durato poco. Il silenzio della morte, o quello che dovrebbe essere tale, ci ha immediatamente sovrastato.

E allora a questo punto ci tocca parlare. Non della morte di Eluana, sulla quale qualsiasi parola sarebbe inutile, fuori luogo e volgare, ma del delirio oscurantista in cui siamo precipitati e che questa dolorosa vicenda ha fatto esplodere come un cerino acceso buttato nella polveriera di una nave.

Solo due parole di premessa sulla scelta del padre. Il padre negli ultimi giorni aveva chiesto il silenzio, e da più parti, anche disinteressate, è stato fatto notare che in fondo è stato proprio lui a portare la vicenda di sua figlia sotto i riflettori. Mi permetto di dire che non è proprio così. Lui, per un colmo di coerenza e di rettitudine civile, ha ritenuto che la volontà della figlia, o ciò che lui, da padre e sicuramente in buona fede, riteneva fosse la volontà della figlia, fosse un diritto da tutelare e da far rispettare. E per questo, anziché cercare strade clandestine e sotterfugi come fanno tutti, specialmente in Italia, ha deciso di chiedere allo Stato Italiano il riconoscimento di un diritto. E come spesso purtroppo accade, mal gliene incolse. Non ha portato la vicenda della sua famiglia sotto i riflettori, ha prima chiesto aiuto alle più alte cariche dello Stato che, escluso Ciampi, non si sono neanche degnate di rispondergli, e poi l’ha portata in tribunale. Che poi portare certe questioni in tribunale diventi per qualche misterioso motivo portarle automaticamente sotto i riflettori non può essere imputato a lui, ma a ben altro e altri.

Tant’è, probabilmente la questione avrebbe continuato a restare semisconosciuta come molte altre ce ne sono tuttora nel nostro paese, se lo Stato, e a questo punto sarebbe meglio dire una parte dello Stato, non gli avesse dato ragione. Piena, totale, incontrovertibile ragione. Tutti i tribunali, e su su fino alla Corte Suprema, quell’organo istituzionale quasi sacro di fronte al quale anche la Presidenza della Repubblica si inchina, gli hanno dato ragione.

Ma in Italia, da tempo, questo non è più sufficiente.

C’è chi ogni giorno si sente in diritto di confutare i fatti con le opinioni, di storcere le leggi e anche la Costituzione per i proprio interessi di bottega, di fare letteralmente a pezzi il diritto, e i diritti, e infine anche il corpo di una povera ragazza per i suoi personali fini di acquisizione del potere, di svincolo dalle regole, di mortificazione delle istituzioni e di assoggettamento della democrazia.

Lo sciacallo, povero animale bellissimo, dignitosissimo e anche utile, serve purtroppo spesso da metafora per questi comportamenti, e forse mai come in questo caso è una metafora puntuale. Gli sciacalli si nutrono spesso di cadaveri, e spesso si contendono tra loro i pezzi, a volte anche, a differenza degli avvoltoi che toccano solo carne morta, quando la preda è ancora in vita o moribonda.

Null’altro che questo è ciò a cui abbiamo assistito e cui stiamo ancora assistendo. Personaggi privi di qualunque dignità e di qualunque vergogna si sono contesi, strappandoli a morsi, un braccio, un occhio, una gamba, un capello di Eluana. Lo hanno fatto quando era ancora viva, continueranno a farlo adesso che è morta. Non si sono vergognati di usare questa tristissima vicenda per attaccare il Capo dello Stato, cercando pervicacemente lo scontro.

Non si sono vergognati di chiamare “Assassini” coloro che stavano cercando di rispettare una sentenza del più importante potere dello Stato. Non si sono vergognati di chiamare in causa Dio e qualunque altra entità degna di miglior causa per le loro bassissime e putride dispute da tinello. Non si sono vergognati di usare il Parlamento e le sue leggi per intervenire scardinando qualunque certezza del diritto. Non si sono vergognati di usare i metodi più vigliacchi, le sanzioni amministrative per le cliniche, le ispezioni sanitarie, le indagini delle procure, tutti quei mezzi che mai vengono usati dove c’è davvero delinquenza e reato, dispiegandoli in forze con rapidità ed efficienza mai viste prima.

Nel nostro paese la vergogna ha da tempo perso cittadinanza, e vicende come questa ce lo ribadiscono con il massimo clamore, e grazie a questa mancanza di vergogna, e alla spudoratezza di questi branchi di affamati necrofagi, si sta consumando sotto i nostri occhi una delle più preoccupanti crisi della nostra sempre più debole e malata democrazia.

E in tutto questo, proprio per non partecipare all’osceno banchetto di morte, ci sentiamo però di non poter almeno oggi continuare la battaglia su questo piano, perché comunque prevale in noi il sentimento di rispetto e di dolore per una morte lenta e dignitosa, una morte durata diciassette lunghi anni.

Chi scrive non sa se davvero esiste un Dio, certo è che la morte di Eluana, l’assenza del miracolo invocato da tanti esaltati sotto le finestre del suo ultimo ricovero pericolosamente simili nello sguardo e nella ferocia a quelli che si vedono immancabilmente manifestare in America davanti al braccio della morte invocando l’esecuzione del condannato di turno, la quasi improvvisa accelerazione delle sue condizioni verso la fine nel momento in cui un parlamento vergognosamente sottomesso si apprestava a fare le nottate che non fanno mai pur di irrompere con la clava di un disegno di legge nella cristalleria del confine fra la vita e la morte, dimostrano se non altro in modo clamoroso che se esiste è davvero molto più saggio e molto più misericordioso di tutti coloro che pretendono di parlare in suo nome e che fingono di venerarlo e di rispettarlo.

La sostanza, tristissima, è che vorremmo davvero riuscire a soffermarci almeno per un attimo soltanto sul dolore e sul significato di una morte, e del labile confine che la separa dalla vita, ma il profondo disgusto per l’inciviltà di chi si contende i suoi poveri resti ci sovrasta, fornendoci come unica conclusione la parafrasi di un famoso titolo di “Cuore” (all’epoca stampato per i fatti cinesi di piazza Tien-an-men e sugli sciacallaggi che se ne facevano, al solito, in Italia), mai come ora così pertinente:

La morte di Eluana ci fa piangere, voi ci fate schifo.

 

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