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Sorpresa, il pubblico ama la Cultura

di Alessandro Borgogno - 23/11/2010

Signore e Signori, meglio non girarci intorno: sono anni, anzi decenni, che veniamo truffati.

Molti di noi ne erano già convinti, ma fino ad oggi mancavano forse prove certe, e sufficientemente clamorose.

Sono anni e decenni che ci rifilano la storia che la qualità e la superficialità di programmi TV, film e libri sono essenzialmente dovuti ai gusti del pubblico, della ggente, che premia le proposte più becere, più sciatte, meno difficili.

Chi scrive ha sempre pensato, e sicuramente in più occasioni lo abbiamo anche scritto, che in realtà la gente guarda e legge spesso schifezze semplicemente perché non ci sono alternative migliori.

E tutti che dicono “no, il fatto è che il mercato (la dittatura del nostro secolo) vuole questo, la cultura non fa audience, non fa guadagnare, la gente vuole distrarsi...” (ci sono veri e propri teorici di questa mostruosità, ad esempio tale Cesare Lanza, autore televisivo che con queste argomentazioni ha giustificato e giustifica ancora le trasmissioni da lui firmate, le più orrende della storia della tv).

Bene, non è vero.

E’ una truffa, una menzogna, un furto.

E arrivano a dimostrarlo, casualmente ma non tanto in contemporanea, alcune prove inconfutabili.

La prima è squisitamente televisiva. Vieni via con me, la trasmissione di Fabio Fazio e Roberto Saviano, in onda il lunedì sera (contro il Grande Fratello, non so se mi spiego), sta letteralmente sbancando l’auditel.

Non entriamo nel merito del programma, è un programma con molti pregi e anche con dei difetti, ma è soprattutto un programma di parole, teatrale, con monologhi di quaranta minuti su argomenti tipo criminalità organizzata, eutanasia. Roba leggera insomma. Ed ecco che improvvisamente si scopre che fa più ascolti di una partita di calcio della nazionale, più di alcune puntate di Sanremo, molto più del più seguito reality show (formula televisiva che ormai sembra irrinunciabile). Che sarà mai successo? In realtà niente di che.

Semplicemente qualcuno, finalmente, è riuscito a fare un programma di alta qualità, mettendo insieme professionalità importanti (gli autori si chiamano, tra gli altri, Francesco Piccolo e Michele Serra), lavorando seriamente e dando molta importanza alla scrittura. E, guarda un po’, la gente lo guarda. E resta inchiodata senza fare zapping anche nei momenti più deboli della trasmissione. Dimostrazione lampante che, se c’è qualcosa di veramente interessante da guardare, la gente molla le scemenze e se la guarda. Punto e basta.

Seconda prova. C’è in questi giorni al cinema un film, si intitola Noi Credevamo, e racconta il Risorgimento italiano. Non è un film solo celebrativo, è un film complesso e problematico, sicuramente anche questo con molti difetti. E’ lungo e difficile. Parla più di dubbi che di certezze. Il regista è Mario Martone (uno che non fa film facili), fra gli sceneggiatori c’è Giancarlo De Cataldo (uno che sa scrivere). Talmente tutti sono così pronti a credere alla truffa di cui parliamo, che perfino gli stessi produttori, che ci hanno messo i soldi (fra i quali, guarda un po’, anche la RAI), a dispetto del titolo non ci credevano affatto, e hanno fatto uscire il film in sole 30 copie (trenta!) in soli 30 cinema in tutta Italia. Un modo certo per condannare un film all’oblio.

E invece, guarda un po’, il pubblico ha riempito le sale. E non ci entrava, perché erano troppo poche. E dopo la prima settimana tutti di corsa a stampare nuove copie e ad inventarsi un allargamento della distribuzione.

E ora arrivano anche gli spot sulla RAI (che tempismo). Ennesima dimostrazione di predicatori della dittatura del mercato che del mercato non capiscono nulla, e si ritrovano ad inseguire il desiderio del pubblico senza essere stati minimamente capaci di prevederlo. Ma chi vorrà mai vederlo un film di tre ore sulle contraddizioni del Risorgimento italiano? Ma per carità… Lo vogliono vedere in tanti, tantissimi.

Ultima prova. E’ da qualche settimana in libreria l’ultimo romanzo di Umberto Eco, Il Cimitero di Praga. Come vuole la tradizione dell'autore, è un mattone di 500 pagine. Narra vicende storiche (tutte mostruosamente documentate) dell’ottocento europeo attraverso un orrendo personaggio dedito alla falsificazione di documenti e alla costruzione di falsi complotti.

E’ un romanzo non facile, per nulla accomodante, e sembrerebbe una tipica contorsione da intellettuali e storici che si capiscono solo fra loro. E invece è in cima alle vendite. Sta battendo tutti inesorabilmente, in tre settimane è già alla quarta o quinta ristampa. Certo, ha avuto un ottimo battage pubblicitario, ad esempio sui giornali (ma non sono quelli che non legge più nessuno?) e in alcune trasmissioni televisive (Che tempo che fa, sempre di Fazio. L’infedele di Gad Lerner, uno dei talk show più ostici della tv. Citato da Augias nella sua trasmissione di mezz'ora all’ora di pranzo su RaiTre… programmi che la filosofia del “niente cultura in tv” eliminerebbe senza pietà).

Insomma, noi le abbiamo già definite prove (perché per noi tali sono), ma anche se fossero solo indizi, per definizione tre indizi fanno una prova.

Tutte le volte che sentirete dire qualcuno che la tv è orrenda, che i film sono stupidi e che si vendono solo libri di barzellette perché “è quello che vuole il pubblico”, sappiate che avete di fronte un truffatore o un truffato. Se è un truffato, spiegategli con calma e serenità che non è vero niente (le prove ormai non mancano); se è un truffatore, basta solo non comprare quello che sta cercando di vendervi.

 

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