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Con molti “se” e con molti “ma”

di Alessandro Borgogno - 30/4/2011

Ci sarà un momento in cui ci sarà permesso, con tutta la calma e l’umiltà possibili, di riflettere in modo adeguatamente critico e storico sul pontificato di Giovanni Paolo II? Senza trovarci necessariamente ad offendere un Santo?

Sembrerebbe di no, dato che dal momento della sua morte fino ad oggi c’è stato un continuo rilancio dei concetti di beatificazione e santità dell’uomo, senza che nessuno abbia mai permesso spazio ad altre riflessioni, doverose e necessarie vista l’importanza del personaggio e del suo lungo pontificato.

Sembrerebbe di no, perché anche oggi, a sei anni di distanza dalla sua scomparsa, ci ritroviamo a fare i conti con una invadente cerimonia di beatificazione (per di più contrapposta strumentalmente al Primo Maggio che, guarda caso, è anche la festa del Primo Articolo della Nostra Costituzione) per la quale di tutto si parla, ma mai di nessuna ombra, come se non ce ne fossero.

Non vogliamo discutere la santità (per chi crede) dell’uomo Woityla. Vorremmo avere la possibilità di discutere serenamente dei lati oscuri, che sono propri di tutti i Santi, anche dei più grandi.

Certamente grandissimo e comunicativo dal punto di vista umano, Papa Woityla non può dirsi altrettanto inattaccabile ed esente da responsabilità per ciò che riguarda l’esercizio delle sue funzioni sulla Cattedra di Pietro.

Perché è sempre così difficile ricordare che il suo grande impegno per la sua Patria Polacca ha prodotto, al termine del suo pontificato, una Polonia in crisi sociale, economica e morale molto più grave di come l’aveva trovata?

Perché si vuole far finta che non sia stato il suo pontificato a tenere nascosti i peggiori crimini di pedofilia che oggi il suo Successore tanto esplicitamente deplora?

Perché si vuole far credere che Monsignor Marcinkus lavorasse da solo, o senza il pieno appoggio del pontefice, negli anni in cui la banca vaticana è rimasta implicata nei peggiori scandali nazionali e internazionali?

Perché nessuno fa la contabilità del reale progresso e dei reali miglioramenti della condizione umana avvenuti in tutti quei paesi del terzo mondo dove Giovanni Paolo II ha speso così tanto della sua credibilità e della sua parola evangelica?

Perché bisogna fare così ostentatamente finta di niente?

Fu Woityla a stringere la mano a Pinochet, uno dei più sanguinari dittatori della storia, e a non spendere mai una parola per le madri dei desaparecidos argentini. Fu Woityla a tenere sempre una linea dura ed intransigente su tutti i temi che riguardano l’emancipazione femminile, tenendo la Chiesa tutta sulle posizioni più retrograde e maschiliste.

Fu Woityla a beatificare, come accade oggi con lui, personaggi storicamente assai discutibili, uomini di chiesa che avevano appoggiato dittature e perfino fazioni in odore di genocidio.

Bisognerebbe essere capaci, storici laici e cattolici, di distinguere la politica attuata dal suo pontificato dalle caratteristiche umane e comunicative (e di marketing) dell’uomo Woityla. E sarebbe facile accorgersi di come abbia sempre sostanzialmente rifiutato le conseguenze del Concilio Vaticano II di Giovanni XXIII (l’ultima vera grande rivoluzione della Chiesa Romana), ed abbia attuato per tutti i quasi trent’anni del suo papato, una politica che può serenamente essere qualificata con il suo corretto e semplice aggettivo, reazionaria.

Si può essere grandi anche nel fallimento, e la constatazione dei tanti fallimenti di Papa Woityla nulla toglierebbe al valore storico del suo pontificato, figuriamoci al suo valore spirituale, che viaggia ovviamente su tutti altri piani e che riguarda fedeli e credenti.

E quindi la domanda è: dal momento che noi, laici e storicisti, non vogliamo togliere nulla ai valori dell’uomo giustamente esaltati da chi crede, è troppo chiedere altrettanto e lasciare anche un po’ di spazio alle analisi storiche e critiche di una figura e di un pontificato che ci ha comunque riguardato tutti, e che tutti continua a riguardarci?

 

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