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Il silenzio di Antonello

di Alessandro Borgogno - 22/3/2006

Si può dipingere il silenzio?

Visitando la mostra antologica di Antonello da Messina appena aperta a Roma sembra di poter rispondere di sì, anche se difficilmente si potrà dire come poteva riuscirci.

Basterebbe, a rendere positiva la risposta, la visione del primo quadro che la mostra offre ai visitatori, il San Girolamo nello studio, in prestito dalla National Gallery di Londra. Incredibilmente e quasi miracolosamente piccolo di dimensioni per tutto quello che riesce a contenere e a rappresentare. Ci sono dentro elementi così microscopici da essere probabilmente dipinti con la sola punta di un minuscolo pennello, eppure non manca loro alcun particolare e nessuna sfumatura. Una specie di miracolo. Guardi una riproduzione del quadro, e te lo immagini grande quanto una parete. Lo vedi dal vero, e lo scopri piccolo come un quaderno.

Eppure ha una brillantezza e un dettaglio che nessuna immagine elettronica, neanche al massimo della sua risoluzione, potrebbe riprodurre.

E poi c’è quello che ci vedi dentro. Il santo filosofo nel suo studio che legge. Ma lo spazio, architettonicamente preciso e prospetticamente perfetto, non è uno spazio fisico ma filosofico. E’ un palcoscenico da cui l’osservatore è tenuto fuori grazie ad un immenso arco, ed è una grande chiesa, la sua chiesa, che contiene il suo studio con i suoi libri, il suo spazio più intimo. Lo contiene senza vere divisioni, mantenendo fra la sapienza del filosofo e il sacro della casa di Dio la più totale continuità. E lo studio stesso, rialzato su una pedana proprio come un palcoscenico, è anch’esso spazio sacro da non calpestare senza essersi prima spogliati di ciò che portiamo dal di fuori, come testimoniano le calzature lasciate ai piedi della scala.

Intorno, gli spazi immensi dell’ambiente ecclesiale fanno affiorare dalle ombre e dalle prospettive una teoria di elementi tutti significativi e tutti in rapporto spaziale uno con l’altro. Il leone simbolo di Girolamo, gli uccelli e la bacinella simboli di purezza in primo piano, altri uccelli fuori delle finestre, un crocifisso di scorcio appena visibile nella parte alta della navata centrale, un meraviglioso paesaggio fuori da una finestra sullo sfondo che è esso stesso da solo un intero quadro, contenuto e rappresentato con minuzia di dettagli nello spazio di pochi centimetri quadrati.

E poi il silenzio.

Il santo legge, in silenzio. Il leone quasi nascosto nella navata a destra poggia a terra le sue zampe felpate provocando appena un leggerissimo tonfo attutito dall’immensità degli spazi vuoti. Si sentono gli uccelli fuori dalle finestre, molto in lontananza. Lo spazio rappresentato è lo studio del Santo inteso non come luogo fisico ma come azione e ricerca filosofica, ed è concentrazione, immersione totale nel silenzio della fede e del pensiero.

Non c’è il tempo, in una mostra giustamente affollata, di restare troppo tempo davanti ad un quadro, per di più così piccolo da poter essere ammirato solo da molto vicino, ma è fuori di dubbio che vi si potrebbe restare ore intere davanti, a scoprire in ogni istante nuovi elementi, nuovi significati e nuovi suoni che emergono leggeri e profondi dal silenzio di grandi spazi vuoti.

Di certo la sensazione che non sfugge è proprio quella di trovarsi di fronte ad una miracolosa rappresentazione di qualcosa che non ha né essenza né consistenza.

E per questo la risposta è: sì, ha dipinto il silenzio.

E qualora l’impressione dovesse ancora lasciare spazio a qualche dubbio, c’è almeno un altro quadro che può fugarli definitivamente.

In una mostra che riesce a mettere insieme una quantità di capolavori normalmente sparsi ai quattro angoli del mondo e per i quali merita senza alcun dubbio di essere giudicata assolutamente imperdibile, c’è anche L’Annunciata proveniente da Palermo, il ritratto della Vergine che ha appena ricevuto l’annuncio dall’angelo.

E’ di una bellezza struggente, con il clamoroso cambio del punto di vista rispetto a qualsiasi altra classica iconografia dell’evento biblico, che taglia fuori l’angelo e mette noi, osservatori, da soli di fronte a Maria nel momento in cui ha appena preso coscienza di essere, o di dover diventare, la madre del Cristo.

E ancora una volta Antonello ci tiene fuori, ci lascia davanti alla scena senza permetterci di entrare. Ce lo impedisce il leggio con il libro aperto, che ci separa fisicamente da lei, e il gesto della sua mano, che ci tiene a distanza, quasi a dirci che è inutile cercare di comprendere e di penetrare ciò che accade in quel momento nel suo animo.

Lo sguardo e l’espressione indecifrabili riescono a trasmettere serenità e preoccupazione al tempo stesso.

E anche questo ci viene detto senza una parola, in silenzio.

Non c’è l’angelo che annuncia, e Maria non risponde a parole, è sola con se stessa e con l’immensità della volontà di Dio che l’ha pervasa, e ci dice, con il gesto della mano, che non possiamo fare nulla per lei.

Tanto eloquentemente come se avesse portato un dito davanti alle labbra, al nostro istinto che nel guardarla ci fa salire dal profondo domande come “Cosa c’è?”, “Cosa posso fare per te?”, risponde con immensa tranquillità, con quella mano aperta verso di noi con dolcezza ma con decisione.

Ci risponde che va bene così, e che non possiamo fare nulla.

Possiamo solo fare silenzio.

 

Antonello da Messina
Roma, Scuderie del Quirinale
18 Marzo – 25 Giugno 2006

 

Nel 2010, questo articolo è stato inserito nella raccolta Attraverso le forme, che potete trovare qui.

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