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Un po’ Proietti, un po’ troppo Iena… di Alessandro Borgogno - 5/4/2012 Non essendo riusciti a sentirne neanche una parola la notte di
Capodanno in via dei Fori Imperiali, causa un tempisticamente
perfetto guasto ai maxischermi, siamo andati a vedere Enrico Brignano al Palalottomatica, impegnato nel suo spettacolo Tutto suo Padre. Diciamo subito la cosa probabilmente più importante: Brignano
diventa sempre più bravo e la sua capacità di tenere il palco per più di tre
ore è effettivamente notevole, soprattutto per l’apparente disinvoltura che lo
caratterizza. Lo spettacolo, caratterizzato com’è ovvio dai lunghi monologhi
tipici del comico romano, è arricchito, soprattutto nella seconda metà, da
siparietti più teatrali, la collaborazione di brave attrici, coreografie e
canzoni romanesche sullo stile Trovajoli (si vede l’influenza del Rugantino di un paio di anni fa), tutti
molto curati e con qualche momento non banale di commistione fra teatro
popolare e musical da broadway de noantri (detto in senso positivo). Brignano come sempre dà il meglio di sé nei suoi racconti più
di costume: le scenette familiari, le storie di mamme, papà e nonne, le
coperte di lana, i pigiami di flanella e altri particolari attraverso i quali
riesce a restituire l’atmosfera di intere situazioni, epoche e generazioni. Non mancano, purtroppo, diversi difetti a tutta l’operazione. Anzitutto la location, tanto per cambiare. Il Palalottomatica si rivela ancora una volta inadatto a
qualunque cosa che non sia, forse, uno spettacolo sportivo. Sembrerà una cosa
di poco conto, ma le seggioline di plastica sono talmente scomode che non
permettono di reggere con una adeguata attenzione e rilassatezza uno
spettacolo che si prolunghi oltre le due ore. Il secondo aspetto è proprio la durata. Decisamente lo
spettacolo è troppo lungo. Per di più senza intervalli, la resistenza del
pubblico è messa davvero a dura prova e abbiamo visto molte persone alzarsi e
abbandonare l’impresa prima della fine. Non è un buon segno, forse qualcuno
dovrebbe dirglielo. Qui anche una notazione tecnica, perché la struttura dello
spettacolo riserva per una buona prima metà i monologhi più facili e
immediati, e nella seconda parte duetti e scenette più raffinate, quelle che
meriterebbero maggiore attenzione da parte del pubblico e invece arrivano
quando per il pubblico l’attenzione è
ormai scesa. Infine, quanto Brignano è bravo e anche originale nei suoi
pezzi di costume, tanto è assai più scontato e in alcuni momenti anche greve
in quelli che vanno più verso la satira politica (e chiamarla così è anche
troppo generoso). In tutta questa parte, che peraltro mette all’inizio e tira
anche troppo in lungo, Brignano non è nel suo, non è sorretto da testi
adeguatamente attenti, e scivola con troppa facilità nel populismo più facile
e poco approfondito, infilando anche un paio di scivoloni autentici come un
Cirino Pomicino al posto di Poggiolini, un
riferimento al giudice “donna” che ha dato gli arresti domiciliari a Schettino
(riferimento che probabilmente serviva come aggancio ad una battuta successiva
ma che, avendolo mancato, ha finito per suonare come una sottolineatura
gratuitamente sessista). Niente più che errori, naturalmente, che nulla tolgono alla
bravura e alla simpatia di un attore che è fra i pochi che negli ultimi anni è
riuscito a crescere notevolmente, con serietà e impegno, da semplice
monologhista breve alla Zelig ad attore completo che necessita anche di tempi
più lunghi e ragionati. Ci viene da dire che deve proseguire su questa strada, sia nel
lavoro più puramente tecnico, nel quale però ha già una cifra e uno stile
propri e a tratti originali, ma soprattutto nella scrittura e nella messa in
scena. Ed è probabile che degli autori più attenti e più rigorosi
riuscirebbero ad evitare molti dei difetti riscontrati nella serata (a titolo
di esempio, la stagione teatrale d’oro di Beppe Grillo, quando già faceva
satira seria e pesante sulla politica e sulla società, vedeva Michele Serra
fra gli autori e addirittura Giorgio Gaber alla regia teatrale. Non si
pretende sempre il massimo, per carità, ma non è un caso che anche Grillo
abbia poi virato pesantemente sul populismo e sulla polemica più facile quando
ha lasciato questi grandi autori, e la qualità artistica dei suoi spettacoli,
al di là della sua bravura, è calata a picco). Una scrittura più adeguata, ad esempio, potrebbe far diventare
le pur godibili scenette sulla giovinezza di suo padre e suo madre in
autentici pezzi di teatro che potrebbero anche commuovere in modo intelligente
e garbato. Insomma, ci pare che la “ienizzazione”
di Brignano sia la cosa di cui meno ha bisogno, e di sicuro la trasmissione
televisiva ha ricevuto più qualità dal suo inserimento di quanto non abbia
ricevuto in cambio lui dalla partecipazione al programma di “denuncia” di
Italia1. Per quanto riguarda il teatro, la strada sembra molto
personale, di impostazione perfino raffinata, e di sicuro quella giusta per
lui. Ma è una strada ancora lunga. Enrico Brignano, Tutto suo padre |