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Parigi a mano armata

di Alessandro Borgogno - 4/2/2005

Quando sono stato a Parigi, circa sei anni fa, essendo già da tempo votato al culto quasi religioso per i romanzi di Maigret scritti da quel mai abbastanza celebrato genio che rispondeva al nome di Georges Simenon, l’ho fotografato quel palazzo, che altro non è che l’edificio storico dove risiede la Polizia Giudiziaria. E per la precisione ho fotografato proprio quell’angolo dove c’è anche la targa con il nome della strada, Quai des Orfèvres, che è esattamente il luogo dove si svolge la primissima scena del film che ha per protagonista proprio quella targa.

Detto questo, tanto per dire che potrei non essere del tutto obiettivo, dirò in due parole che 36 è un gran bel film. Non è un capolavoro, perché ha i suoi errori, le sue incongruenze e anche le sue cadute di stile, ma nel complesso è uno di quei film che mi fa uscire dal cinema pensando “meno male che ancora qualcuno ha il coraggio di fare dei film”.

Freddo, duro e verosimile anche nelle esagerazioni. I personaggi sono “uomini veri” ma non all’americana. Niente supereroi, niente superbuoni né supercattivi, ma uomini duri, segnati dalle esperienze (anche fisicamente, pieni di vere rughe), che fanno errori, anche grossi errori, e ne pagano le conseguenze fino in fondo.

Un respiro di sollievo nel mondo di piccoli e grandi fasulli che popolano gran parte del cinema di qua e di là dell’oceano.

Inoltre, la storia è tratta da un fatto di cronaca, un vero scandalo che ha travolto la polizia francese negli anni 80 e mai del tutto chiarito, e questo, oltre a rendere interessante la storia anche per lo sforzo di far convivere cronaca e fantasia (e in più il regista è un ex poliziotto), rievoca alcune atmosfere del migliore periodo dei nostri Rosi e Petri, e in parte anche del recente Martinelli di Piazza delle cinque lune (film complessivamente discutibile, ma almeno coraggioso negli intenti), ossia proprio di quel cinema che noi non siamo più capaci di fare a nessun livello, né con film di serie A né B né C.

Ve lo immaginate un film italiano che sbatta sullo schermo senza dolcificante il marcio della nostra polizia, o dei nostri intoccabili carabinieri? Noooo…. da noi si possono fare solo fiction tv con carabinieri buoni, poliziotti buoni, ora perfino finanzieri: certo che poi si finisce col rimpiangere “Milano calibro 9”... magari vederne oggi di film italiani così!

E ci ho trovato anche (finalmente) un rassicurante rispetto per i grandi maestri fra i quali al primo posto metterei Sergio Leone, oltre che nell’uso intenso dei primissimi piani, ancor più nei personaggi: pieni di contraddizioni, per niente perfetti, nessun buono completamente buono e nessun cattivo esclusivamente cattivo. Tutti hanno qualcosa di sporco e tutti si sporcano, e quando si sporcano si sporcano davvero. E anche nel pescare dagli americani, direi che il film pesca - non a caso - fra le cose migliori degli ultimi anni (dall’Eastwood di Mistyc River, per esempio, o da alcune atmosfere del Mann di The Heat - La sfida, da cui riprende anche la locandina).

Insomma, è da molto tempo, secondo me, che i francesi ci danno un po’ di lezioni, non tanto e non solo per la tecnica o per le capacità, ma per il coraggio e lo sforzo di essere originali anche senza rinunciare alla spettacolarità (per citare a caso film riusciti e non, ma mai banali, mi vengono in mente Delicatessen, Il favoloso mondo di Amélie, Vidocq, Due fratelli, Il popolo migratore… perfino per fare Il nome della rosa, da un best-seller tutto italiano, c’è voluto un regista francese).

Tanto di cappello, dunque: 36 può piacere o non piacere (come è giusto che sia per qualunque film), ma sicuramente ci fa uscire dal cinema con una storia in più, per di più raccontata bene e con lo sforzo sincero di raccontarcela bene.

Ultima doverosa citazione per il cast: tutti eccellenti, anche nelle parti minori, e pazienza per Valeria Golino, una disgrazia che periodicamente ci tocca ma che almeno stavolta riesce a non fare troppi danni. Bravissimo Daniel Duval, perfetto come sempre Gèrard Depardieu che non si capisce se recita senza neanche impegnarsi ma anche se così fosse riesce ad essere perfetto lo stesso, ma soprattutto assolutamente superlativo Daniele Auteuil, che attraversa sontuosamente il film con un personaggio complesso e doloroso fino al fastidio, rimanendo sempre all’interno di un invisibile confine, mai sottotono e mai sopra le righe. Come una persona vera.

 

36 Quai des Orfèvres, di O. Marchal
con D. Auteuil, G. Depardieu, D. Duval, V. Golino - Francia 2004

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