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Scatto in avanti verso il mare aperto

di Alessandro Borgogno -12/10/2006

Sarà perché Michael Mann, oltre ad essere un buon regista, era anche l’inventore e ispiratore della serie tv originale di Miami Vice. Sarà perché non ha voluto rifare il telefilm con una operazione nostalgia ma ha voluto invece fare un film proiettato verso le possibilità future del mezzo cinematografico. Sarà perché l’ha girato interamente in digitale andando a cercarsi anche ambientazioni e soluzioni tecniche nuove. Fatto sta che Miami Vice, il film, non solo non è quello che ci si potrebbe aspettare, ma è anche un buon film. Soprattutto un film interessante.

C’è un primo formidabile punto a favore della sua riuscita, e cioè che Mann riesce nell’operazione probabilmente più difficile: non far rimpiangere i due protagonisti originali (Don Johnson e Philiph Michael Thomas). Colin Farrell e Jamie Foxx sono infatti assolutamente all’altezza, e disegnano Sonny e Rico con leggeri scarti di personalità che danno ai due detectives un profilo anche nuovo e adeguatamente aggiornato ai tempi.

Per il resto, il film sembra voler prendere dall’idea originale solo l’impianto (traffici di droga, agenti infiltrati) quasi fosse un pretesto come un altro, virare completamente la fotografia, livida quando non notturna, escludendo completamente il contrasto tipico dei telefilm fra la notte di Miami e il suo giorno solare e accecante, per aggiornare poi tutto il resto ad una sorta di filosofia della frammentazione e della velocità.

Come se le storie, e gli stessi personaggi, non fossero più il frutto di un impianto narrativo e psicologico compiuto, ma ci vengano proposte e proposti in base alle schegge di racconto e di azioni che ci è dato di cogliere (ciascuno spettatore per proprio conto) nell’infinità di stimoli, dettagli, situazioni e connessioni, senza che la regia o la sceneggiatura sembrino voler minimante aiutarci ad identificare quali elementi sono importanti e quali invece semplicemente esistono senza che abbiano una reale influenza sulla storia o sulla psicologia dei personaggi.

A riprova di questa intenzione quasi provocatoria basta far caso al fatto che una delle cause principali dell’indagine che coinvolge i protagonisti alla fine non viene minimamente risolta, ma ci facciamo caso solo molto dopo, a film finito e archiviato, o potremmo anche non accorgercene affatto.

Un tentativo difficile ma interessante, che in alcuni momenti sfiora lo sperimentalismo, e che ci costringe a considerare il film con attenzione, anche nel caso che alla fine non ci piaccia.

La sensazione finale è che Michael Mann abbia voluto tentare, in parte anche riuscendoci, un salto in avanti verso nuovi linguaggi. Come se anziché inseguire correndo, spesso in affanno, le nuove traiettorie che le tecnologie ci suggeriscono e ci inducono (cosa che il cinema oggi si trova a fare spesso), abbia effettuato uno dei primi tentativi consistenti (da regista Hollywoodiano con grandi budget) di accelerare sorpassandoli per tracciare una possibile strada futura.

Naturalmente tracciata in mezzo all’oceano, con un motoscafo offshore.

 

Miami Vice, di M. Mann
con C. Farrell, J. Foxx, G. Li
USA, 2006

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