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Mio fratello è figlio unico di Armando Cereoli - 17/5/2007 Storia di due fratelli così lontani eppure così vicini, cresciuti a cavallo del ‘68 in una Latina che risuona ancora della voce del duce. Così lontani: Accio, il più piccolo, ribolle di astio e fremiti fascisti, Manrico più saggio e maturo sogna una carriera da sindacalista. Così vicini: l’acerrimo contrasto tra ideali diventa, tra insulti e zuffe furibonde, il catalizzatore di un affetto che va oltre il credo politico. Proletariato e squadrismo si mischiano, si confondono e si annientano l’un l’altro in un gioco di tinte che il sempre pregiato Luchetti orchestra alla perfezione. Non a caso divertono i siparietti che in ugual misura sbeffeggiano le contraddizioni e le assurdità dell’una e dall’altra corrente, perché in fondo la politica è sempre stato un gioco sporco, tanto vale riderci un po’ sopra, anche se a uscirne malconcia è la mistica del favoloso ’68. Elio Germano e Riccardo Scamarcio se le danno e se ne dicono di santa ragione, e convincono proprio per la capacità di rendersi terreni. Scamarcio, seppur a fasi alterne, riesce a convincere di essere non solo una bel pischello. Elio Germano, dopo l’ottima prova di Io e Napoleone, è nient’altro che una piacevole conferma. Da segnalare un buon Zingaretti, mentore missino del giovane Accio, e una sorprendente Angela Finocchiaro, madre coraggio dei due turbolenti fratelli.
Mio fratello è figlio
unico, di D. Luchetti |