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"Nature has its own religion"

di Giovanni Marchetti - 7/2/2008

Cosa ci si aspetta da un ragazzo appena laureato con merito in legge? Che non si senta arrivato, e che anzi prosegua con profitto gli studi, magari ad Harvard. E che accetti come regalo-palliativo dal padre bigotto una macchina nuova, in sostituzione del macinino che anni prima lo aveva portato in giro per gli Stati Uniti.

È questa la situazione in cui si trova Chris McCandless quando decide di abbandonare famiglia e averi per cercare l’agognata libertà in un viaggio vario e interminabile attraverso l’America e verso l’Alaska, condito da incontri che segnano, ma non riescono a far da contraltare a quello che è (sembra?) un irrefrenabile desiderio di solitudine. Lontano dalla società (“crazy indeed”), lontano da chi lo cerca senza averlo mai capito, Chris diventa un surrogato di figlio per qualcuno, un amore acerbo per qualcun altro, un compagno di sbronze per il bracciante Vince Vaughn, ma non rinuncia all’idea dell’ Alaska, terra di natura selvaggia, e aspra e forte. Lavora duro, s’infonde coraggio citando Primo Levi e Il richiamo della foresta, ma scopre che la natura ha un carattere più ostile di quanto avesse potuto pensare.

Sean Penn porta sullo schermo il libro di Jon Krakuer, che era a metà tra diario e inchiesta; e lo fa con un film partecipato e intenso, perfetto nella scelta degli attori (ottimi quelli di contorno) e delle atmosfere (struggente a volte la colonna sonora originale di Eddie Vedder). Un film politico, anche, per come affronta un tema rispetto al quale è facile sentirsi vulnerabili.

Almeno da questa parte del mondo.

 

Into the wild, di S. Penn
con E. Hirsch, V. Vaughn
USA 2007

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