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Un film che ti "tira dentro"

di Ilaria Scala - 5/10/2008

Pranzo di ferragosto, opera prima di un esordiente non più giovane come Gianni Di Gregorio, ha il pregio di farti sentire fin dal primo secondo dentro il film.

Ci sono film che - vuoi per la ricercatezza dell'ambientazione o dei dialoghi, vuoi per le situazioni inconsuete - richiedono alcuni minuti per far scattare l'identificazione dello spettatore nella scena e fargli dimenticare di essere seduto in poltrona.

Ci sono anche film che - intenzionalmente, per scelta estetica - tendono ad evitare che ciò accada, preferendo piuttosto affermare il loro essere materia filmica, e perciò non reale, e perciò distante.

Pranzo di ferragosto, rivelazione all'ultimo Festival di Venezia, appartiene invece alla categoria di quei film che ti "tirano dentro", dandoti l'impressione di camminare per le vie di Trastevere, fare la spesa, cucinare e mangiare intorno alla tavola apparecchiata insieme ai protagonisti.

E' talmente semplice e non pretenziosa la trama: il racconto dei due giorni del ferragosto romano di un figlio sessantenne che accudisce la madre over-90 (a quanto sembra, continuativamente: forse è in pensione anche lui?) come una premurosa dama di compagnia, e che si trova a dover ospitare altre tre signore coetanee della mamma, affidategli da figli e nipoti ansiosi di liberarsene per scappare in vacanza.

E' talmente realistica e curata la scenografia: la casa modesta e di decadente eleganza, con i segnali diffusi di antichi fasti perduti, le "buone cose di pessimo gusto" sparse sui tavolinetti, in salotto e in cucina, le acconciature tinteggiate imparruccate e demodé delle vecchie signore, i loro abiti così intonati alle loro personalità: ricercati e composti quelli della padrona di casa, sfacciatamente colorati e quasi volgari quelli della signora più vivace e incontenibile, sobri e dimessi quelli della zia di provincia, discretamente eleganti quelli dell'ultima arrivata, la più timida e umile nelle parole e nei gesti, capace di slanci di ribellione solo quando, di notte, ruba la pasta al forno che suo figlio medico le vietava da anni, per una non precisata intolleranza ai latticini, o quando legge la mano alle sue nuove amiche, con sicurezza e competenza da affabulatrice, riuscendo a scatenare una delle scene corali più belle, così spontanea da sembrare (sembrare?) improvvisata, di confidenze e intimità tra donne che ricordano il loro passato.

E' talmente vivida e convincente la sceneggiatura, che tratteggia quattro personaggi (cinque, con il figlio protagonista) a cui solitamente il cinema affida soltanto parti di contorno con precisione, discrezione ed affettuosa empatia: non c'è nulla di ridondante o enfatico nei dialoghi, negli sguardi, nei gesti. Tutto è misurato e soprendentemente vero.

E' talmente tutto vero, che si vorrebbe vederne di più, di film così: film che si preoccupano soltanto di essere, in ogni loro minuto, godibili. E di raccontare una storia che potrebbe capitare a tutti, prima o poi. E magari di far riflettere un poco, una volta usciti dalla sala, calato il sipario su un fine abbastanza lieto e lievemente cinico, sul ruolo sociale degli anziani e di chi deve accudirli o, semplicemente, far sì che non si sentano troppo soli. Anche e soprattutto a ferragosto.

 

Pranzo di ferragosto, di G. Di Gregorio
con G. Di Gregorio, V. De Franciscis, M. Cacciotti, M. Calì, G. Cesarini Sforza, A. Santagata, L. Marchetti, M. Ottolenghi, P. Rosu,
Italia 2008

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