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Preferisco Disneyland

di Alessandro Borgogno - 17/3/2010

Mi associo pressoché totalmente alla tempestiva recensione di Beppe, e avendo finalmente visto anch’io il nuovo megashow allestito da James Cameron e titolato Avatar, aggiungo giusto alcune considerazioni di complemento. La prima è che mi piacerebbe (un po’ alla Nanni Moretti) prendere uno ad uno tutti i critici e similari che per mesi hanno ululato alla luna della “svolta epocale”, “film che cambierà per sempre il cinema”, rivoluzione “paragonabile a quella del sonoro e del colore”, per legarli ad una sedia e costringerli alla visione di almeno dieci proiezioni consecutive di C’è Sartana… vendi la pistola e comprati la bara (altro che Corazzata Potemkin, sarebbe troppa grazia per loro).

Certamente onore e gloria all’operazione marketing, che di certo ha pompato e venduto il tutto assai bene, e altrettanto onore all’Academy Awards che si è almeno sottratta all’incoronazione di questo giocattolone colorato e chiassoso che avrebbe anche voluto essere proclamato miglior film dell’anno. Insomma facciamo ad essere chiari: Avatar è un film gradevole e a tratti bello a vedersi. Ma assolutamente, e c’è da sottolineare assolutamente, nulla di più.

Che si voglia spacciare il solito salto in avanti delle tecnologie per una grande rivoluzione è cosa tipica della nostra epoca, sempre più stracolma di innovazioni ma priva di novità.

Certo è che anche il maggiore sforzo produttivo e tecnologico (che però andrebbe anche capito meglio dove sia finito, perché quanto meno non tutti i miliardi di miliardi spesi si vedono quanto forse si dovrebbe) se non si poggia su qualche base minimamente solida può solo fare lo scontato effetto di un gran bel circo, di quelli che comunque domani si smontano, portano via il tendone, e chi se li ricorda più.

Nel definirlo remake di Balla coi lupi Beppe è fin troppo buono, perché ancor più andrebbe confrontato con Pocahontas (quello della Disney). La storia è identica, e i personaggi solo un po’ più superficiali (quelli di Avatar). Cameron, che pure è un buon regista e che perfino con Titanic, per quanto se ne possa dire, aveva riportato l’aria e il respiro del grande cinema nelle sale, qui si è evidentemente smarrito dietro i suoi mille schermi digitali e ha completamente perso di vista storia, sceneggiatura e regia. Anche i personaggi e gli ambienti (quelli veri) sono riportati di peso da quello che forse è il suo miglior film (Aliens, il secondo della saga): i marines, gli interni da astronave, il sergente donna tostissima e giusta, il marines con una coscienza, l’affarista cattivo e stupido, il colonnello cattivo e super-macho fino al ridicolo.

Va da sé che i Puffi giganti (i Na’vi) interamente mossi al computer finiscano per essere assai più espressivi degli attori veri, e che le meraviglie naturali di Pandora (salici fosforescenti, funghi semoventi, mostri sempre con qualcosa di già visto e soprattutto centinaia di normalissime felci… pianta davvero universale!) siano l’unico vero motore del film, in un gioco talmente votato alla sola costruzione di immagini (con l’aggiunta del 3D che comunque dopo la prima mezz'ora non fa più nessun particolare effetto) e talmente forzato a stupire da finire fatalmente per annoiare.

Posso assicurare a chi non ha ancora avuto l’occasione, che una discesa sulla nave dei Pirati dei Caraibi o un giro nella Casa dei Fantasmi ad EuroDisney sono assai più onesti e duraturi: ti promettono di farti tornare bambino per mezz'ora, di farti anche sentire stupido senza vergognarti, e ti danno esattamente quello che ti promettono senza spacciarti il falso e l’inconsistente per qualcosa di diverso né tantomeno di “epocale”.

Ecco, se c’è una cosa sicuramente positiva che offre questo Avatar, è la dimostrazione che quando gli effetti speciali e la tecnologia non vengono usati al servizio di una storia e di una idea solide, tutto si risolve in zucchero filato. Per vedere l’effetto contrario basta pescare anche il meno riuscito dei film della saga di Star Wars, per riconoscere subito insieme agli effetti più strabilianti anche intrecci adeguatamente ambigui, personaggi ricchi di sfumature, dialoghi non solo fini a se stessi, buoni mai completamente buoni e cattivi mai totalmente cattivi. Del resto, Lucas è un regista che ama davvero il cinema, Cameron probabilmente comincia ad amare troppo i suoi giocattoli.

 

Avatar, di J. Cameron
con S. Worthington, Z. Saldana, S. Weaver, G. Ribisi
USA 2009

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