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Il Campione e Robin Hood

di Alessandro Borgogno - 13/10/2010

Pur non facendo parte del nostro target abituale, ogni tanto facciamo qualche incursione anche negli eventi televisivi. Lo facciamo soprattutto perché ci ostiniamo a considerare quella che chiamano orrendamente “fiction” come uno dei tanti tipi possibili di cinema. E forse ci sbagliamo.

L’ultimo misfatto di RAI Fiction si chiama La Leggenda del Bandito e del Campione, andata in onda Lunedì 4 e Martedì 5 Ottobre scorsi. Parliamo di misfatto con sincero dispiacere, perché ha rappresentato una delle tante (ormai innumerevoli) occasioni perse.

Dispiace anzitutto perché la storia è davvero bella. Bella come sanno essere le storie vere, quelle talmente vere da diventare al tempo stesso storia e leggenda. La storia, per chi non la conosce, è quella dell’amicizia fra Costante Girardengo (Campione di ciclismo su strada degli anni '20) e Sante Pollastri (Bandito prima nazionale e poi internazionale, nemico pubblico numero uno dell’epoca).

Difficile raccontarla meglio, con più poesia e più precisione, di quanto non abbia fatto anni fa il cantautore Luigi Grechi, e difficile cantarla meglio di come abbia fatto suo fratello Francesco De Gregori dandogli il successo che meritava.

Legittimo però trasformarla in un film, e altrettanto legittimo inventare ed arricchire la storia a piacimento.

Colpevole, invece, tirare via una sceneggiatura con le soluzioni e le trovate più facili, semplificare personaggi e situazioni fino alla figurina, e prestare così poca attenzione alla ricostruzione d’epoca, ai dettagli che danno senso e verosimiglianza anche ad una storia come questa.

Sempre più nella fiction televisiva nostrana sembra che la vecchia regola aurea, in base alla quale il cinema deve mostrarsi più ricco e più interessante della realtà, viene inspiegabilmente ribaltata. La vera storia di Girardengo e Pollastri è piena di lati oscuri, di ambiguità, di scelte non spiegate e di situazioni mai del tutto chiarite. La storia della fiction diventa invece di una linearità imbarazzante. Nulla del mistero di un giovane ragazzo di provincia che diventa un bandito feroce. Nulla della sua strana e mai del tutto chiarita avversione nei confronti delle forze dell’ordine e in particolare dei carabinieri (ne uccise ben sette! Nella fiction forse se ne vede uno colpito in una sparatoria, senza indugiare, potrebbe anche averlo solo ferito). L’unico vero omicidio mostrato è una specie di incidente che dà l’avvio alla sua carriera di criminale, attuato per di più per grande spirito di umanità (vendetta per lo stupro di una ragazza). Insomma uno dei più pericolosi criminali degli anni venti trasformato in Robin Hood, ruba e uccide sempre per qualche buono scopo. Anche la sua altrettanto ambigua adesione agli ideali anarchici è appena mostrata di striscio, a questo punto in modo del tutto inutile.

Si salva qualche attore (ma non tutti). Giuseppe Fiorello nella parte del bandito tutto sommato funziona, anche se rimane sempre e troppo con la faccia da buono per diventare davvero interessante. Unica vera sorpresa Simone Gandolfo nella parte di Costante Girardengo, con una vera bella faccia da inizio novecento, quasi unico elemento che lasciava davvero legati alla collocazione storica. Diventa anche per questo il personaggio più interessante, proprio perché a dispetto della sua apparente linearità (è il buono, è il campione) anche l’interpretazione di Gandolfo riesce a dotarlo di una qualche contraddizione che lo rende più vero, a differenza del suo amico bandito che finisce per essere una figura davvero unidimensionale.

Peccato, peccato davvero.

Era l’occasione per raccontare finalmente una storia interessante e non banale (non la solita vita di un santo o di un campione dello sport, ma qualcosa di più complesso) e ancora una volta è stata sprecata sull’altare della semplificazione televisiva. Dispiace per gli sceneggiatori (in particolare per Andrea Purgatori, che pure in molte altre occasioni ha dato ottime prove), per la regia invece ci sarebbe quasi da tacere. Nessuna idea (salvo i paesaggi dipinti ad acquarello, tipo fumetto, buona idea comunque utilizzata male), nessuno sforzo né verso la suspense né verso i momenti lirici. E addirittura in qualche momento la pretesa (forse involontaria) di rievocare situazioni richiamabili dal Bertolucci di Novecento o dal Sergio Leone di C’era una volta in America. Tentativi maldestri come la copia di un Caravaggio tentata da un ragazzino senza nessun talento per il disegno.

L’ultima notazione è per il pubblico, perché se tempo addietro ci scagliammo contro gli autori televisivi rei di considerare il loro pubblico sempre troppo scemo, stavolta un po’ ci dobbiamo arrendere anche alla pigrizia del pubblico stesso, che sempre più sembra ottenere dagli autori quello che merita. Diciamo questo perché a quanto pare la fiction ha ottenuto buoni ascolti, ha vinto la serata e ha fatto perfino scendere l’audience di X-Factor, che stava andando forte. Ed era accaduto che la settimana prima, in analoga collocazione, era stata trasmessa un’altra fiction, Le ragazze dello swing, ispirata alla carriera del trio Lescano (anni Trenta-Quaranta). Ebbene, per quel po’ che si è visto per una volta c’era stato qualcosa di diverso, una storia meno scontata, personaggi meno lineari, ricostruzioni adeguate, rievocazione di un’epoca, un primo tentativo di uscire dall’agiografia, dal classico “santino” biografico.

Ebbene, gli ascolti sono stati molto bassi.

 

La Leggenda del Bandito e del Campione, di L. Gasparini
Sceneggiatura di A. Purgatori e D. Alessi
Interpreti G. Fiorello, S. Gandolfo, R. Rea, S. Maestri, G. Lo Console
Liberamente ispirato a Il campione e il bandito di M. Ventura, Ed. Il Saggiatore
Italia 2010

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