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Il piccolo Hugo e la magia del cinema

di Alessandro Borgogno - 16/2/2012

Anzitutto l’ambientazione. La Gare Montparnasse a Parigi ai primi del secolo scorso: Uno spettacolo di locomotive nere a vapore, di ingranaggi di enormi orologi, di cunicoli, bistrot profumati di croissant, chioschi di fiori colorati, di negozi di giocattoli meccanici e di enormi vetrate spalancate sulla Villè Lumiere resa ancora più incantata dalla neve che cade a fiocchi.

Poi gli attori. Oltre ad uno straordinario ragazzino (Asa Butterfield), co-protagonisti e anche quasi comparse tutte di altissimo livello e prestigio, da un sempre perfetto Ben Kingsley ad un impeccabile Christopher Lee, da un breve e intenso Jude Law ad un Sacha Baron Cohen in versione poliziotto da comica del muto.

Ma naturalmente c’è il racconto, in costante equilibrio fra la narrazione per ragazzi più classica (alla Dickens, per intenderci) e quella più moderna, anche tecnologicamente.

La trama è sufficientemente semplice e complessa allo stesso tempo da non meritare un riassunto che ne sminuirebbe entrambi i pregi. Basti dire che Scorsese, da innamorato della settima arte qual è sempre stato, ha pescato da una notevole graphic novel una storia che nascondendosi (come uno dei giochi di prestigio del personaggio-chiave della storia) sotto un racconto di avventure e di formazione, si rivela in realtà un racconto sul cinema, sulla sua capacità di materializzare i sogni e di dare concretezza alle nostre fantasie.

Racconto meta-cinematografico e al tempo stesso racconto di purissima narrazione, Hugo Cabret si srotola davanti agli occhi degli spettatori grazie ad un susseguirsi di spettacolarità fatta da grandi scene e da piccolissimi particolari.

Il tentativo di Scorsese, candidamente e coraggiosamente scoperto, è restituire al cinema la sua magia, la sua capacità di stupire e commuovere, e il suo posto non più secondario ma di primissimo piano nella storia dell’umanità.

Ha ben capito, il caro Martin, che il cinema ormai merita un ruolo storico al pari delle altre arti, e con esso i suoi conseguenti eroi da romanzo, le sue figure semileggendarie, le sue storie simboliche e significanti.

E finalmente, anche il 3D così spesso utilizzato in modo gratuito e puramente spettacolare, acquista invece un senso molto più compiuto, mettendosi al pari dei primissimi effetti speciali realizzati dal pioniere Georges Meliès (che molto c’entra con la storia e con il film). Scorsese lo usa per dare profondità alle scene, alle contrapposizioni fra elementi e personaggi, anche ai più classici campi e controcampi. E poi lo lascia esplodere in un paio di scene nelle quali acquista realmente il valore di un occhio in più. Appena più scontato nella ricostruzione, ma con ritmo e suspense perfetti, del vero incidente ferroviario avvenuto nel 1895 proprio alla Gare Montparnasse, e in modo assai più sottile in una apparentemente semplice scena di panico individuale fra la folla opprimente e indifferente.

Intendiamoci, il film non è perfetto in ogni angolo. Come spesso accade a Scorsese, non è privo di qualche difetto e anche di qualche caduta di ritmo. Resta però un tale piacere per gli occhi e per lo spirito da farglieli perdonare.

Nelle consuete esagerazioni americane, ha già raccolto 11 candidature agli Oscar, e di sicuro qualcuno ne vincerà, ma più di una sarà meritata.

Nel nostro piccolo ci permettiamo di sperare ottenga quella per la migliore scenografia per i nostri Dante Ferretti e Francesca Loschiavo. Non solo per spirito patriottico, ma perché gli scorci di stazione, negozi, strade e ambienti che riempiono lo sguardo dal primo all’ultimo minuto riescono ad essere sempre totalmente classici senza mai essere scontati, e soprattutto di una bellezza davvero smagliante.                   

 

Hugo Cabret, di M. Scorsese
con A. Butterfield, C. Moretz, B. Kingsley, S. Baron Cohen, J. Law, C. Lee
USA 2011

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