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L'Enrico IV di Caravaggio

di Alessandro Borgogno - 26/4/2006

Nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma c’è uno di quei tanti musei gratuiti che solo la città più straordinaria del mondo è capace di regalare. Sono i tre famosi quadri del ciclo di San Matteo che riempiono di una densità quasi insostenibile la cappella Contarelli, in fondo alla navata sinistra.

I quadri, soprattutto il primo che racconta la conversione del Santo, sono giustamente molto famosi, ma sicuramente meno famosa è invece una interpretazione molto convincente del quadro che pochissimi evidenziano, non i libri di storia dell’arte, pochissimi storici, nessuna guida o compendio più o meno ufficiale sull’artista.

Si potrebbe partire, nell’indagine, da una banalissima considerazione ritrattistica, una somiglianza difficilmente casuale riscontrabile nelle fattezze del Santo stesso, nel momento in cui è ritratto dal Caravaggio seduto al tavolo dell’osteria, dove entra Gesù a chiamarlo, e con Gesù entra lo straordinario taglio di luce che lo illumina, lo indica e lo chiama.

Si può cercare fra i ritratti storici dei più svariati artisti: è il ritratto sputato di Enrico IV.

Per un velocissimo ripasso di storia, basterà ricordare che Enrico IV fu colui che, per essere adeguatamente riconosciuto come Re di Francia, si convertì, altrettanto velocemente, al cattolicesimo apostolico di Roma (sua la famosa frase “Parigi val bene una messa”).

La casualità potrebbe anche restare tale, se non fosse che il dipinto si trova in una chiesa (e fin qui…), ma soprattutto in una chiesa Francese.

A questo punto, difficile non credere che la conversione di San Matteo altro non sia che una allegoria della conversione alla chiesa di Roma del famoso Re di Francia.

Aggiungiamo inoltre che, sempre casualmente, i personaggi della scena ritratta vestono abiti francesi, peculiarità sulla quale nessuna critica “classica” ha mai dato spiegazioni convincenti.

E per ultimo indizio, le aggiunte dell’artista.

Le più recenti tecniche radiografiche hanno mostrato come una prima versione del dipinto presentasse la sola figura di Gesù, sulla soglia del locale, ad indicare e a chiamare alla conversione il futuro Santo.

Quel che è probabilmente accaduto è che i committenti, che avevano ben chiaro il significato che quella tela doveva avere e che proprio per quello la avevano commissionata al più famoso pittore dell’epoca, nel vederla abbiano detto al Caravaggio: “Si… è molto bella… ma qui si vede solo Cristo che chiama San Matteo alla conversione, non è ben chiaro che colui che in realtà è Enrico si converte non semplicemente al cristianesimo, ma alla chiesa di Roma, cattolica e apostolica! Insomma, dov’è la chiesa di Roma?”

Et voilà! (per l’appunto alla francese): ecco che a fianco di Cristo compare anche San Pietro, ed è sistemata anche la chiesa di Roma. E' così che un capolavoro già di per sé eccezionale assume anche un significato storico assolutamente unico e prezioso.

Volendo proseguire nella collocazione storica, va notato che anche il quadro che lo fronteggia, il martirio dello stesso Santo, riproduce anch’esso personaggi con abiti francesi dell’epoca e che anche lì le radiografie hanno mostrato come la prima stesura dell’artista richiamasse in tutto e per tutto la strage degli Ugonotti, anch’esso episodio strettamente legato alla storia di Enrico IV e delle sue vicissitudini politiche e religiose.

Ciò che stupisce, ogni volta che si scoprono questi preziosi risvolti nella storia dell’arte, è come la storiografia ufficiale sembri sempre tralasciarle come se l’arte non avesse mai niente a che fare con la politica, come se non fosse la politica stessa, quasi sempre, a determinarne il corso e anche la grandezza artistica delle opere e degli uomini che le produssero.

Fermo restando che capolavori come quelli del Caravaggio appaiono come tali anche guardandoli senza saperne alcunché, perché alla fine la forza di simili artisti riesce a sovrastare qualsiasi conoscenza e qualsiasi connotazione storica per colpire esclusivamente i sensi scavalcando qualunque sovrastruttura, resta il fatto che troppo spesso, e in modo assai colpevole, studiosi e scrittori lasciano fuori aspetti così essenziali per comprendere a fondo la grandezza di un’opera, nonché i risvolti di fatti storici apparentemente noti a tutti.

Cercate pure questa lettura dei capolavori della cappella Contarelli e cercherete invano. La troverete accennata, forse, su un libro ogni dieci, e l’unica fonte dalla quale la potrete sentire spiegata e dettagliata come merita non sarà un critico d’arte, né uno storico, né un giornalista di pagine culturali, bensì un attore e scrittore di teatro, e cioè il solito Dario Fo, che sempre più spesso, al posto di chi sarebbe deputato a farlo, studia, ricerca, porta alla luce e ci regala pieghe fondamentali della storia che altrimenti ci verrebbero colpevolmente negate e lasciate morire nell’oblìo. Non gli avranno dato il premio Nobel per caso, certo non perché è un attore divertente. Come al solito, paesi come la Svezia riconoscono a nostri illustri connazionali i meriti che hanno e che nel loro paese (il nostro) vengono sistematicamente negati e ridimensionati a beghe di quartiere o, ancora meno, a polemiche di parte.

Di sicuro fosse esistito un premio analogo ai tempi del Caravaggio, lo straordinario pittore se lo sarebbe visto negare in patria, e semmai assegnare da un paese straniero (ai suoi tempi, infatti, fu Malta che lo affiliò ai suoi illustri Cavalieri mentre in Italia era ricercato), per ritrovarsi poi ugualmente negato, maltrattato e, nel suo caso, perfino ucciso nel suo bel Paese.

 

Michelangelo da Caravaggio, Affreschi del ciclo di San Matteo
Roma, Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi

 

Nel 2010, questo articolo è stato inserito nella raccolta Attraverso le forme, che potete trovare qui

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