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Marco Aurelio e gli Operai

di Alessandro Borgogno - 28/6/2012

A volte alcune immagini portano con sé delle storie uniche. E a volte anche un modo di guardare il mondo.

Questa è la storia di una di quelle immagini.

Da quando ho iniziato a fare fotografie

foto di A. Borgogno

(direi almeno 30 anni fa) ho capito molto presto una cosa. Se volevo davvero trasferire altrove con un click il mio sguardo su qualcosa, dovevo allenarmi a cambiare punto di vista. Se restavo dove stavano tutti gli altri non avrei detto nulla di interessante a nessuno. Mica spostandosi chissà dove: a volte basta inginocchiarsi, spostarsi di un passo a sinistra, salire su un muretto, mettersi da un angolo diverso. In effetti a questo ho ripensato anche qualche sera fa, andando alla presentazione del romanzo di un vecchio amico, Carmelo Albanese (un amico che non vedevo da più di vent’anni e che ho ritrovato grazie alla rete), e che non a caso ho conosciuto proprio mentre facevamo entrambi un corso da fotoreporter. Mi è tornato in mente proprio in questa occasione perché mi sono reso conto che, pur essendo spessissimo in disaccordo con lui, proprio Carmelo è una di quelle persone che quando ti dice, o ti scrive, o ti filma qualcosa, ti dà sempre la possibilità di vedere le cose da un punto di vista diverso.

E pensando alla questione di guardare il mondo cambiando punto di vista mi sono reso conto che è sempre stata la mia guida al momento di scattare una foto, qualunque foto, mi è venuta in mente quest'altra storia, che è proprio la storia di una foto, che per mille motivi è unica e irripetibile.

Era il 1990. Avevano terminato il restauro del Marco Aurelio, e dovevano trasportarlo dal palazzo del San Michele (Istituto di restauro del Ministero dei Beni Culturali) fino al Campidoglio. Io e Carmelo eravamo lì, frequentavamo il corso da fotoreporter che stava proprio lì dietro, a via Induno. L’occasione era unica, e andammo tutti. C’erano tre camion che avanzavano lentamente per le strade di Roma, seguiti da una folla enorme. Su uno c’era il Marco Aurelio, su un altro il cavallo, sul terzo un cestello con braccio semovibile con tre operai dall'elmetto rosso. Io e Carmelo, che in quei giorni avevamo quasi sempre lo stesso sguardo sulle cose, o meglio arrivavamo da strade diverse alle stesse immagini, capimmo subito che il fulcro della situazione era lì. Infatti tutti fotografavano i due enormi bronzi, qualcuno fotografava gli operai perché gli elmetti rossi erano fotogenici, ma nessuno aveva ancora capito che l’unica immagine possibile era prenderli tutti insieme. Ci facemmo strada fra la folla, allontanandoci, e salendo su un muretto del lungotevere per metterci alla loro stessa altezza. E andammo molto avanti, perché solo schiacciando la prospettiva da lontano si poteva farli entrare nella stessa inquadratura. E il momento buono dello scatto fu soltanto uno. Quello. Per questo nessun altro riuscì a fare quella foto.

I tre operai erano lì perché alzavano con le mani i fili del tram per far passare le statue.

Il Marco Aurelio e il suo cavallo facevano la loro marcia trionfale per la città eterna, ma senza quei tre operai non avrebbero potuto avanzare di un metro.

Dietro ad una delle statue più belle del mondo, all’arte e alla storia, c’è ancora un volta il lavoro.

Per questo ancora oggi sono certo che sia io che Carmelo, ogni volta che vediamo l’imperatore a cavallo nelle sale del Campidoglio, lo guardiamo con occhi diversi dagli altri.

E che ancora la foto esista e resista, e sia guardabile nonostante la pessima qualità di una stampa invecchiata e rovinata, solo oggi rifotografabile e digitalizzabile grazie alle tecnologie e finalmente anche alla portata di noi poveri mortali, è un piccolo miracolo che ancora mi emoziona..

 

1990 – Roma

Marco Aurelio  e il suo cavallo tornano al Campidoglio dopo il restauro

Foto di Alessandro Borgogno e Carmelo Albanese

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