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  Marquez in azienda di Alessandro Borgogno - 13/7/2012 Romanzo impegnativo e complesso questo esordio nella narrativa
 di Carmelo Albanese, fino ad oggi giornalista e saggista (e molto altro). L’amore ai tempi della Telecom, che già
 dal titolo svela ispirazione ed omaggio al grande maestro colombiano, racconta
 la vita di un uomo, e delle persone che gli ruotano intorno, mentre
 attraversano gli anni Novanta e il primo decennio dei Duemila dall’interno di
 una grande azienda di telecomunicazioni, la Globalcom
 (e l’assonanza con l’azienda del titolo non è, ovviamente, solo un’assonanza).
 La racconta non tanto per farci appassionare alle vicende di Christian, il
 protagonista, e di Maria, la collega con cui intreccia un rapporto di amore e
 di passione che richiama ad ogni passo quello fra Florentino
 e Fermina, ma per l’urgenza di comunicarci cosa davvero è avvenuto in quegli
 anni all’interno delle aziende, e cosa continua ad avvenire. Negli anni i
 protagonisti attraversano la prima grande privatizzazione di una azienda
 pubblica, gli stravolgimenti portati dalle nuove gestioni, la scientifica
 persecuzione del profitto e dello sfruttamento, i traslochi inutili e
 funzionali alla riduzione del personale, i superconsulenti
 specializzati nel taglio delle teste, il programmato e apparentemente
 inarrestabile depauperamento del capitale umano e conoscitivo, il totale
 svuotamento del significato e dello stesso ruolo sociale della parola
 “lavoro”. Impossibile da riassumere per densità e quantità di
 avvenimenti, il racconto si srotola scegliendo come guida uno dei più grandi
 romanzi di tutti i tempi, che è (con buona pace di chi non la pensa così e di
 chi, orrore!, ancora non lo abbia letto) Cent’anni
 di Solitudine. E così la Globalcom diventa
 Macondo, e i personaggi che la animano (e la uccidono) trovano di volta in
 volta un loro corrispettivo nelle figure disegnate da Marquez nel suo
 capolavoro. Ma al di là delle vicende, come dicevamo non riassumibili, quello
 che davvero colpisce nella narrazione è la capacità (e la precisa volontà) di
 inquadrare tutti gli avvenimenti, da quelli più squisitamente “privati” a
 quelli globali come l’11 settembre o come il tragico G8 di Genova, in un unico
 quadro che li tiene insieme tutti illuminandoli di un punto di vista e una
 uniformità che non ce li fa apparire più casuali o dettati da contingenze
 epocali o convergenze temporali, bensì come parti di un ben preciso disegno,
 programmato e pervicacemente perseguito da chi negli ultimi decenni ha voluto
 in modo così tenace portare la società allo sfacelo che tutti ormai abbiamo
 intorno e non possiamo più far finta di non vedere. Ecco perché il paragone
 con il nazismo, ripetuto a volte ossessivamente nelle pagine del romanzo, per
 quanto sgradevole e certamente all’apparenza sovradimensionato, acquista in
 realtà nella narrazione un senso ben preciso e per nulla inverosimile, tanto
 sono precise e identificabili le similitudini non tanto negli effetti più
 esteriori (ma a volte anche in quelli) quanto nel metodo, negli obiettivi,
 nella scientificità e nell’applicazione su scala globale.  La scrittura è fluida e colta anche se con qualche momento di
 affaticamento. La lettura è inevitabilmente a tratti angosciante, ma
 altrettanto spesso brillante e perfino divertente, giacché l’autore conosce le
 vie dell’umorismo e del grottesco e non manca di praticarle con disinvoltura
 ottenendo spesso effetti esilaranti. Ma soprattutto lettura che ci costringe a
 guardare tutto ciò che abbiamo intorno con occhi diversi, spostando il nostro
 punto di vista (cosa che qui a Parolae amiamo sempre
 fare) dandoci spesso una chiave per interpretare e riconoscere i segnali che
 spesso abbiamo intorno a noi senza coglierli. Di sicuro molti, moltissimi,
 riconosceranno in ciò che accade negli anni all’interno della Globalcom cose che vedono accadere nelle proprie aziende,
 anche in questi anni e in questi mesi. Per questo il romanzo, pur raccontando del ventennio passato,
 risulta drammaticamente attuale, e per questo può diventare perfino urgente,
 come sicuramente l’autore ha sentito l’urgenza della scrittura.  Per chi almeno in qualche caso non vuole più farsi cogliere di
 sorpresa da ciò che accade ormai giornalmente in quello che ci si ostina a
 chiamare “mondo del lavoro”, può risultare addirittura una lettura necessaria.
  La frase: Seguendo l’ottica dei
 nuovi geni dell’economia, quando Fleming scoprì la penicillina, invece di
 saltare sulla sedia per la felicità, l’umanità avrebbe dovuto iniziare a
 preoccuparsi. La penicillina avrebbe salvato moltissime vite umane. Sarebbe
 avanzato un popolo altrimenti condannato a morte. Il nuovo popolo, salvato
 dalla penicillina, avrebbe preteso di vivere e sfamarsi.  I calcoli economici sul
 fabbisogno del pianeta sarebbero conseguentemente andati a farsi friggere.
 Fleming avrebbe aperto la porta ad una recessione mondiale. 
 C. Albanese, L’Amore ai
 tempi della Telecom  | 
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