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Dura ed estrema

di Alessandro Borgogno - 9/9/2005

Ci sono nomi onomatopeici, che già con il loro suono danno l’idea di ciò che identificano. Ci sono nomi descrittivi, che da soli già ti raccontano qualcosa di ciò a cui danno il nome. E ci sono nomi che sono l’uno e l’altro insieme, e che non solo rappresentano, ma descrivono suonano e trasmettono già con il nome anche l’odore del posto che nominano.

foto di A. Borgogno

Così è la regione spagnola ad ovest di Madrid. Il suo nome dice già quasi tutto quello che c’è da dire.

Estremadura.

Estrema come ultima, lontana, di confine, terra di frontiera, e anche come luogo di estremi, estremo il caldo, estremo il freddo, estreme la vita e la morte che la attraversano. Estremadura. Un nome che da solo è già paesaggio, storia, natura, temperatura e colore.

E quando ci passi capisci che non potrebbe avere altro nome. Terra dura e poco ospitale, patria di uomini nati e cresciuti in condizioni cattive e forse per questo diventati anche fra i più cattivi e crudeli dell’intera storia della nostra presunta umanità.

Cortès e Pizarro, tanto per citare solo i due più famosi. Considerati probabilmente ancora eroi da queste parti, vista, ad esempio, la statua equestre che domina la piazza di Trujillo, gioiellino rinascimentale in mezzo al deserto degli altipiani, patria riconoscente di Francisco Pizarro, tornato a riempire la sua città natale dell’oro saccheggiato agli imperi del sudamerica dopo averli annientati con una ferocia unica e assolutamente disumana (ricambiata dal destino o da Dio, o forse dal dio degli Inca, visto che Francisco finirà la sua vita in Perù, accoltellato dai suoi stessi compari riuniti contro di lui nell’ennesima ed inevitabile congiura). Però, chissà che effetto farà ad un discendente Inca che visita Trujillo vedere lo sterminatore del suo popolo rappresentato come fosse Garibaldi.

Ma capisci anche che una terra così forse non accetta compromessi e mezze misure. Estrema è, e forse può ospitare solo aspetti estremi della vita e della storia. E della natura.

Ed è in uno degli estremi che spiccano nella regione, dove il rio Tajo taglia in due la parte più montagnosa della zona creando una gola e una parete di roccia di quasi trecento metri di altezza, che si trova una zona straordinaria, giustamente protetta con il nome di Parco Naturale di Monfrague. In mezzo alla gola ci passa la strada, e tu puoi fermarti, parcheggiare, scendere e alzare la testa verso la parete di là del fiume, e verso il cielo assolato.

foto di A. Borgogno

Non solo per lo splendido paesaggio, che già meriterebbe la sosta, ma soprattutto per le ottanta coppie di avvoltoi grifoni, le due di avvoltoi monaci, una di aquile imperiali e altre rarità ornitologiche che vivono e nidificano tutte su questa stessa parete, chiamata Peña Falcon.

Lo spettacolo non è descrivibile. Sia che guardi le pareti o che guardi il cielo, ne vedi a decine. Enormi, con le immense ali spiegate oppure appollaiati sulle rocce tali e quali un film western o un fumetto di Tex. In alcuni

momenti guardi in alto e finisce per girarti la testa, tanti ce ne sono, a tutte le altezze. Ed è un continuo passare da un lato all’altro della gola sopra la tua testa, alcuni molto bassi e molto vicini, e i loro tre metri di apertura alare, fra i record assoluti del mondo animale, quando passano ti fanno ombra come se fossero deltaplani.

Veleggiano con maestria sbalorditiva, senza quasi mai battere le ali perché sfruttano le correnti in un modo che nessun grande pilota di aliante sarebbe mai capace di fare. E puoi restare talmente ipnotizzato da uno spettacolo che si può vedere solo in pochi documentari da restare lì un tempo infinito continuando a guardare a destra a sinistra, in alto, senza mai trovare un angolo di cielo realmente vuoto.

foto di A. Borgogno

E fai attenzione, che rischi di dimenticarti il tempo che passa e finisci anche per rischiare una insolazione perché… perchè naturalmente qui anche il sole non scherza, non scherza mai, e non conosce mezze misure.

Non ti sei accorto che brucia senza farti neanche sudare? Brucia direttamente sulla pelle senza una goccia, e comincia a fare male agli occhi come mille lampade bianche. Cerca di corsa un posto all’ombra, se lo trovi, e risposati un po’ altrimenti finisci per essere tu, ben cotto, il prossimo pasto di quegli avvoltoi che gironzolano leggeri sopra la tua testa.

Esagerato? Può darsi…

Ma guarda che non sei mica in un posto normale sai? Sei in Estremadura…

 

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