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La prima mappa del pregiudizio

di Lisa Della Volpe - 30/05/2006

La prima mappa del pregiudizio è il titolo di un articolo apparso il 18 gennaio sul sito del Corriere, che mi ha colpito per la volontà ormai largamente diffusa di voler cercare a tutti i costi una definizione, un’etichetta, una prigione di stereotipi in cui ingabbiare gli altri popoli, con l’intento più o meno velato di affermare la propria supremazia psicologica o intellettuale o quanto meno con l’intento spocchioso e irriverente di voler dire: io capisco e conosco e di conseguenza posso affermare che gli Italiani, ad esempio, hanno uno stile impeccabile ed amano la pasta. Si potrebbero stendere fiumi di inchiostro sull'argomento, ma preferirei portare l’attenzione su un’altra questione: nella mappa non compaiono alcuni popoli, tra i quali gli Olandesi, e dal momento che ho vissuto in quell’affascinante paese mi sono lasciata tentare dal voler dire anch’io la mia, contravvenendo a quanto detto sopra!

Mi sono chiesta la ragione per cui il blog tedesco che ha promosso l'iniziativa non abbia considerato i vicini di casa. La ragione è forse l’atavica antipatia reciproca causata dalla dominazione tedesca delle terre olandesi per ben 5 anni, ricordo ancora vivo nei cuori degli olandesi, tanto da far loro creare un gadget – un casco modellato sulla forma degli elmetti dei soldati nazisti - per i tifosi della squadra nazionale, da esibire nelle partite in terra tedesca nei prossimi mondiali di calcio.

Di stereotipi sugli Olandesi se ne potrebbero citare tantissimi: alcune definizione sono avvalorate da prove quanto mai inconfutabili e spesso sconvolgenti, diffuse nel costume olandese; altre sono strettamente soggettive e rientrano nella sfera privata legata alle usanze religiose e a secoli di emancipazione sociale.

In generale gli Olandesi sono sospettosi; sono avari, perché hanno sudato le mitiche sette camice per strappare la terra al mare, e non sopportano lo spreco delle risorse.

Gli Olandesi sono schiavi dell’idea di essere liberi! E’ questo il più grande paradosso che mi è passato sotto gli occhi in mesi di “vacanza” in Olanda. Si crogiolano di essere i detentori universali dell’idea di libertà assoluta, ma solo con una grande opera di reindirizzamento dei loro pensieri credo di essere riuscita a far capire almeno ai miei amici che in realtà la loro libertà è finta in quanto imposta dall’alto e che vivono di regole ferree, in famiglia come nella società, a lavoro come a casa (i figli sono obbligati a dare del voi o del lei ai genitori, come segno di rispetto).

In Olanda, si sa, lo Stato ha liberalizzato il sesso, ha autorizzato l’uso di droghe per dare i contentini al popolo e in più, con uno straordinario atto di astuzia, ha fatto sì che i “repressi” di mezzo mondo si rechino ad Amsterdam per assaporare la libertà di consumare droghe quando e come vogliono. Ma gli Olandesi non consumano droghe perché sono figli della morale protestante (piena anch’essa come la nostra, di controsensi e di regole per noi spesso difficili da comprendere)! Anzi snobbano chi ne fa uso e vietano il consumo per strada. In quanto al sesso è risaputo che l’Olanda è il paese in cui è maggiormente diffusa la pratica di ricostruzione dell’imene dopo che le ragazze si sono pentite della loro prima esperienza sessuale! E poi si vergognano di mostrare i panni stesi al sole ad asciugare (io stessa ho assistito ad un reportage su tale pratica con tanto di book fotografico sulle varie possibilità di restyling, perché visto che ci siamo, tanto vale ridisegnare anche le forme esterne!).

In generale gli Olandesi sono abili affaristi: basta vedere le transazioni per le vendite dei giocatori di calcio e i cataloghi delle case d’asta. Insomma riescono a vendere opere d’arte mediocri, che un tempo decoravano le pareti delle botteghe di macellai e panettieri, ad un valore molto più alto di un Domenichino o di un Guido Reni, creando un alone di misticismo attorno ai pittori nazionali, Van Gogh e Rembrandt in primis, e trascurandone altri molto più talentuosi!

Gli Olandesi sono nazionalisti, anche perché comprendono che lo Stato, pur avendo operato delle scelte spesso coraggiose e impopolari, ha reso ricco il paese; dimostrano il loro attaccamento alla monarchia durante occasioni di grande coesione sociale come i festeggiamenti del compleanno della Regina, ogni anno il 30 aprile, e sfilano per le strade e per i canali con abiti arancioni, con le unghie e i capelli tinti del colore nazionale.

Gli Olandesi sono rispettosi del bene pubblico; si sentono liberi nello Stato perché lo Stato li ha sempre tutelati. Pur ammettendo che esistono le classiche discriminazioni tra nord e sud, gli Olandesi si appoggiano, si difendono l’un l’altro, fieri di essere figli della loro terra, orgogliosi delle loro capacità che si completano e si esprimono a pieno nella collettività.

Noi Italiani, figli di un umanesimo ormai arido, nascondendoci dietro le glorie sepolte da secoli, incapaci di ricreare e di rigenerare la bellezza, ci difendiamo a suon di Leonardo-Michelangelo-Raffaello e grazie a loro (ma non solo) abbiamo imparato a credere nelle capacità intellettuali del singolo e abbiamo ricercato la libertà individuale. Il prezzo della conquista è stato l’aver trascurando l’aspetto della coesione sociale che si estrinseca nel rispetto del bene pubblico, nel rispetto del lavoro e nella correttezza morale del singolo verso la collettività.

Ora dovremmo fare un passo oltre il Reno (da cui il nome di Utrecht), avvicinarci un po’ di più a coloro che i Romani definivano barbari e fare in modo che la triade identificativa della nostra epoca non contenga i nomi di un Moggi o di un Berlusconi.

 

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