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I

La mancanza di ciò che manca

di Ilaria Scala - 1/8/2006

Il film Ogni cosa è illuminata non rende giustizia al libro da cui è tratto.

Capita spesso, con i film tratti dai libri. Capita quasi sempre, con i film tratti dai libri che hanno un intreccio complesso, su più livelli, con salti temporali e diverse voci narranti. Quei libri che, come nel caso del romanzo d’esordio di Foer, hanno proprio nell’intreccio la loro forza, la loro stessa natura.

Il film di Liev Schreiber, lodevole negli intenti e piuttosto riuscito come film in sé, è una supersintesi di quel magma epico di storie e personaggi che è il romanzo. Da quel magma stralcia la linea narrativa principale (il viaggio del giovane americano nell’Ucraina dei suoi nonni) e quello segue, quello arrotola e scioglie senza farsi distrarre da altre divagazioni, anzi lo snellisce, lo semplifica, riducendolo praticamente all’osso.

Viene da chiedersi se sia corretto trasporre comunque i testi più interessanti da un linguaggio all’altro, a patto di conservarne lo spirito, oppure, se il linguaggio originario li “intride” troppo, e troppo a fondo, se non sia più rispettoso lasciar perdere, e fare film su altri soggetti.

Di cinematografico, in effetti, il romanzo di Foer ha molto: il viaggio, i paesaggi, gli incontri, i flashback.

Ma nonostante il piacere per la recitazione, i dialoghi, la colonna sonora e la fotografia, la mancanza di ciò che manca, di ciò che è stato saltato, soppresso o cancellato, si avverte troppo, e troppo male fa.

 

Ogni cosa è illuminata, di L. Schreiber
con E. Wood
USA 2005

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