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Prima che il diavolo sappia...

di Alessandro Borgogno - 20/4/2008

Fin dove può arrivare la mediocrità umana e il suo bisogno ormai disperato di beni materiali? Cosa è disposto a fare, o cosa si trova in un modo o nell’altro a scavalcare, prevaricare, mettere in secondo piano, l’animo umano di fronte alla necessità, vera o presunta, di denaro? E’ una della tante cose che ci racconta Onora il padre e la madre, film splendido, cupo, teso, spietato e profondo, messo in piedi e diretto con mano ferma (è il caso di sottolinearlo) e con lucidità folgorante dall’ottantaquattrenne Sidney Lumet, non ancora sazio evidentemente dei tanti capolavori (e anche di film meno riusciti ma mai banali) messi già in fila nella sua interminabile e luminosissima carriera.

Interessante notare come, per strade molto diverse, anche Lumet sembri arrivare a conclusioni simili a quelle proposte dai molto più giovani e “moderni” fratelli Cohen nel loro ultimo gioiello, così come a quelle anche recentemente ribadite dall’altro grande vecchio Woody Allen, soprattutto in Match Point. Per dirla con pochi ed elementari concetti, l’umanità ha perso praticamente ogni suo reale connotato “umano”, di valore, di giustizia, di rispetto. Ogni rapporto, di qualunque livello, è tenuto in piedi, regolato o mandato in pezzi dal denaro. Esemplari in questo senso molti confronti fra i personaggi del film, dove anche il rapporto fra la figlia e il padre divorziato finisce per essere misurato sul denaro che quest’ultimo può o non può darle.

Questo il motore che muove tutta la vicenda. Ma il racconto di Lumet non si ferma ad una analisi, per quanto lucida e spietata, della perdita di valori e di visione del futuro della nostra umanità contemporanea. Scende molto più a fondo, e scava nell’animo dei suoi protagonisti per metterne alla luce motivazioni, i rapporti di causa e effetto, l’intreccio indissolubile di spinte profonde e al tempo stesso futili che li portano agli epiloghi più estremi e più devastanti, seguendo fino in fondo alla loro strada di perdizione uomini incapaci di controllare le conseguenze delle loro azioni.

Per questo viaggio negli inferi, dove ci porta prendendoci saldamente per un braccio e non mollandoci più, anche quando vorremmo tentare di divincolarci e guardare altrove, l’ottuagenario regista nato a Philadelphia ci fa partire dall’evento centrale del dramma, una rapina organizzata da due fratelli alla gioielleria dei loro stessi anziani genitori, rapina che inevitabilmente va storta e che provoca conseguenze drammatiche per tutti i protagonisti. Ma questa scena, che potrebbe rappresentare da sola un classico tragico finale di un film sui destini segnati, è in realtà la prima scena del film. Da lì la narrazione inizia un percorso sorprendente di flash-back e flash-forward, portandoci indietro prima del fatto, poi correndo avanti, poi facendoci di nuovo tornare indietro perché ci sono cose che ancora non sappiamo o non abbiamo capito bene, e così prosegue fino ad un finale, stavolta invece srotolato in modo lineare e quasi classico, che chiude la vicenda nel modo più cupo, disperato e al tempo stesso potente e senza temere il giudizio dei personaggi su se stessi e sugli altri, e degli spettatori su di loro e sull’intero film.

La forma narrativa non è di per sé nuova (Rashomon, C’era una volta in America e tanti altri..), ma qui Lumet non la usa per sorprenderci o per giocare semplicemente con il tempo. La utilizza per scavare, per farci tornare più volte su un avvenimento o su una situazione non tanto per mostrarcela da un punto di vista diverso (il punto di vista è sempre uno, esterno e quasi oggettivo) ma per scoprirne ogni volta un particolare o un aspetto nuovo, così da farci entrare via via sempre più in profondità nelle motivazioni, nei meccanismi e nella psicologia di ciascun personaggio e in quella delle loro azioni.

Si svolge così davanti ai nostri occhi una tragedia greca in piena regola, con tutti gli elementi classici, ma con una tensione e una forza narrativa totalmente moderne, che non ci lascia scampo, non ci permette distrazioni e non ci consente nessuna fuga in spiegazioni esterne all’animo umano o anche solo vagamente consolatorie. Il tutto è sorretto da una sceneggiatura pressoché perfetta, piena di sfumature e di realismo e priva di errori e di sbavature, come se ne vedono ormai poche, e da una perfomance recitativa di livello altissimo da parte di tutti gli attori. Assolutamente impressionante la prova di Seymour Hoffman, eccellente anche quella di Ethan Hawke nella parte del suo fratello “debole”, efficace Marisa Tomei, e soffertamente emozionante fino al dolore la partecipazione del grande Albert Finney nella parte del vecchio padre, colpito a morte negli affetti della sua vita ma mai rassegnato, e per questo deciso fino alla fine ad andare al fondo della verità, qualunque essa sia, e perfino a spingersi oltre il limite più estremo, quello dal quale non si può più tornare indietro.

 

Onora il padre e la madre [Before the Devil Knows You're Dead], di S. Lumet
con P. Seymour Hoffman E. Hawke, A. Finney, M. Tomei
USA 2008

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