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Cartoline da Marrakech - Addio all'oasi... o al miraggio

di Ilaria Scala - 31/8/2008

Primo giorno - Gli odori e i motori

Secondo giorno - Le regole del gioco del suk

Terzo giorno - La cura e la bellezza

Quarto giorno - Addio all'oasi... o al miraggio

8 agosto 2008, quarto giorno a Marrakech.

Ti senti ancora respinto, ma anche affascinato, e ti dispiacerà andar via, perché gli occhi iniziavano ad aprirtisi, a vedere uno spiraglio di luce, e chissà quante cose avresti potuto scoprire nei giorni successivi. Gli sguardi che incroci (sempre per sbaglio,

Il cortile interno di un riad - Foto I. Scala

ché gli sguardi marocchini non si fanno incrociare volentieri) ti mettono un po’ meno paura, hai imparato a non leggervi ostilità o diffidenza, ma magari un briciolo di curiosità. Se solo non facesse così caldo… Rifletti che ogni tuo incontro, qui, ha svelato qualcosa di bello: il raro sorriso degli indigeni, quando ti viene concesso, illumina i loro volti scuri di un bagliore diffuso. La loro discrezione è un’espressione di rispetto e tolleranza (siamo vestiti in modo tanto diverso… se anche avessimo la stessa faccia, l’abito tradirebbe il monaco e non potremmo mai scambiarci i ruoli, neanche per un istante). Il rispetto che offrono è lo stesso che pretendono; con la loro inafferrabilità ci chiedono di non stupirci, di non fotografarli come fossero attrazioni, di non fare domande invasive sulle loro abitudini miste di modernità esplosa e tradizione millenaria: perché, ad esempio, i suk delle baracche pullulano di antenne televisive? Meglio non interrogarsi sui percorsi imperscrutabili del consumismo, meglio non chiedersi se quelli occidentali, che hanno distribuito prima le fogne e l’acqua corrente e poi gli abbonamenti alla pay-tv, fossero gli unici percorsi possibili e giusti.

Intanto, la grazia che si trova in questo ristorante elegante, il Comptoir Darma gemellato con il suo omonimo parigino, è difficile trovarla nei ristoranti italiani: le cameriere in divisa ispirata al gusto locale ti servono sorridendo, e sorridono e scherzano volentieri anche tra loro. La cucina è semplice e raffinata, le pietanze variano tra pesce e carne, cous cous e tante verdure, condite dalle immancabili spezie, servite nei piatti tipici in ceramica con il coperchio a cono.

Ecco Marrakech, che appena inizi a capirla ti abbandona al deserto circostante, popolato solo di sassi e sparuti alberi d’argan (che le capre brucano con tanta soddisfazione, perfino arrampicandosi su per i rami, e da cui si estrae l’olio d’argan, ben meno saporito del nostro).

Ecco Marrakech, che ipnotica ti rapisce ti seduce e ti stordisce. Mentre ti allontani, pensi che non la possiederai mai, restassi qui altri mille anni. E la guardi svanire alle tue spalle, come un miraggio nel deserto, come un’oasi che forse non è mai esistita.

 

Marrakech

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