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Il Genio e l'Architetto

Serpeggiante itinerario storico-artistico nella Roma Barocca attraverso i capolavori e le dispute fra Bernini e Borromini, con significative considerazioni a favore del Borromini

Introduzione

Parte Prima - Salendo il pendio

Parte Seconda - Sul colle, le ellissi

Parte Terza - Giù per i vicoli e su per le torri

Parte Quinta - Il trionfo del conflitto

Parte quarta – L’inganno dei sensi

Dove il Borromini piega l’architettura per illudere lo sguardo e il Bernini più tardi raccoglie l’illusione e la illumina ingigantendola, e dove scopriamo qualcosa del riposo ultraterreno di entrambi

di Alessandro Borgogno - 1/6/2009

Ci inoltriamo oltre Campo de’ Fiori, dopo aver lanciato un’occhiata deferente alla statua di Giordano Bruno qui bruciato per aver detto la verità, passiamo ammirati in Piazza Farnese intimoriti dall’imponente facciata michelangiolesca dell’omonimo palazzo, e infiliamo il laterale Vicolo de’ Venti per sbucare un attimo su un’altra delle tipiche deliziose piazzette romane, quasi cittadine dentro la città, dominata dall’ennesimo Palazzo. Ma se tutti i palazzi antichi di Roma sono comunque opere d’arte, questo è un palazzo davvero speciale.

E’ Palazzo Spada.

Qui dentro, il Borromini ha avuto modo di mettere in pratica le sue capacità di illusionista dello spazio nel modo più libero e con i risultati più eclatanti.

Gliene dà modo il cardinale Bernardino Spada, proprietario e committente dei lavori, che nel ristrutturare tutto l’edificio affida al Borromini il riassetto di una parte di giardino laterale, da poco acquisita, con la precisa intenzione di avvalersi delle capacità di manipolazione prospettica del geniale architetto, essendo la creazione di spazi illusori anche una delle sue passioni (in altri punti del palazzo se ne possono trovare altre create con effetti pittorici).

Il Borromini stavolta non deve risolvere problemi particolari, ha tutto lo spazio e tutte le condizioni che desidera. Ed ha le idee chiarissime. In meno di un anno, progetta e realizza il suo migliore gioco di prestigio. E’ una galleria coperta da una volta a botte, che mette in comunicazione due ali del giardino. Sulle pareti laterali coppie di colonne, sulla volta sezioni di arco intervallate con cassettoni a rilievo. Sul pavimento della galleria, semplici mosaici bicromatici, quasi a scacchiera.

In fondo, all’altra uscita, un'altra parte del giardino, un po’ troppo lontana per capirne bene natura e dimensioni.

Il prodigio è tutto nelle linee, e nel modo in cui il nostro occhio le legge, le interpreta, e soprattutto le percepisce. Se ci mettiamo di fronte alla galleria e immaginiamo di avanzare per percorrerla, ci facciamo una certa idea di quanto ci metteremmo ad attraversarla tutta. Se avessimo un marchingegno che potesse tradurre matematicamente, e in modo esatto, le misure che il nostro occhio percepisce e trasmette al cervello, questo ci direbbe che la galleria è lunga dai 30 ai 35 metri.

Se ci mettiamo davvero in moto e la attraversiamo (cosa purtroppo non più possibile perché si può visitare solo con una guida e, ahimè, non è comunque più permesso entrarci dentro), il mondo improvvisamente impazzisce.

Ad ogni passo la volta si abbassa, il pavimento si alza, le colonne si stringono intorno a noi torcendosi in modo asimmetrico. Improvvisamente siamo Gulliver nel paese di Lilliput. Dopo neanche otto passi siamo all’altro capo, ma per uscire dobbiamo abbassare la testa.

La galleria è in realtà lunga 8,8 metri. L’arco di entrata è alto sei metri, quello di uscita a malapena due.

Tutta la struttura, e quindi tutti i punti di riferimento, corrono lungo le linee della prospettiva verso il loro punto di fuga, ma vi corrono molto più in fretta di quanto dovrebbero. La galleria è un disegno in prospettiva riportato da due a tre dimensioni ma comprimendone drasticamente una. Mantenendo il punto di vista esatto, ogni cosa è perfettamente al suo posto. Lasciandolo, tutti gli elementi cambiano dimensione. La geometria inganna i sensi, lo spazio è illusorio. Come estrema metafora, probabilmente, le grandezze terrene sono immaginarie, e ben misera cosa rispetto all’infinito verso cui il punto di fuga della prospettiva tende, ma mai raggiunge.

L’illusione creata dal Borromini qui è totale, un gioco perfido, perfetto ed inquietante, una dimostrazione scientifica inequivocabile della relatività del nostro sguardo sulle cose. E’ un concetto che qualunque arte non si stancherà mai di riprendere, ampliare, utilizzare e sfruttare in tutti i modi, non solo l’architettura o la pittura, ma il teatro, la fotografia, il cinema, la pubblicità, le arti grafiche, insomma qualunque disciplina che abbia a che fare con la vista e con il dialogo continuo fra i nostri occhi e il nostro cervello.

Dieci anni più tardi, il Bernini non si farà sfuggire l’occasione di mettere a frutto, e in modo spettacolare, le ricerche e le scoperte del suo antagonista. Da par suo, ancora una volta trasforma l’intuizione artigiana in una grande opera monumentale. Gli viene affidata dal papa la risistemazione della Scala Regia in vaticano, già opera del Sangallo, e il Bernini applica alla sua ristrutturazione tutti gli effetti prospettici possibili. La scala è monumentale, quindi non si tratta di fare giochi di prestigio come nel caso della piccola galleria Spada, bensì di accentuarne la lunghezza e la grandiosità, con lo stesso identico gioco prospettico applicato alle pareti, alla volta, e alla distanza fra le colonne. E poiché il Bernini è sempre il Bernini, ci mette del suo, e lo fa alla grande. Fedele al suo senso teatrale e scenografico, grande studioso e conoscitore degli effetti di luce, quello che non può fare con le illusioni geometriche lo fa con l’illuminazione. Aumenta con ritmo crescente le aperture che fanno entrare la luce sulla scala man mano che si sale, e così facendo allontana dallo sguardo la fine della salita, rendendola più luminosa, quindi più opaca, quindi più indistinta, e quindi più lontana.

Grande prova di capacità scenica, e ancora una volta grande intelligenza pratica nell’utilizzare quanto di meglio l’arte del suo tempo andava mettendo in circolo. Non ultima, dimostrazione evidente di quanto anche lui fosse capace di metafore architettoniche estremamente efficaci, mettendo in scena nel modo più esemplare possibile l’ascesa dell’uomo verso la luce divina.

 

Già che dobbiamo tornare verso Piazza Navona, vale la pena di scendere lungo via Giulia. Non solo, e sarebbe più che sufficiente, perché è una delle più belle vie di Roma e del mondo, ma anche perché al suo estremo, che poi è il suo inizio, c’è la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. Bellissima e piena anch’essa di capolavori dei più brillanti artisti, custodisce in una delle sue cappelle proprio la tomba di Francesco Borromini. E con lui anche quella del suo maestro Carlo Maderno. E insieme a loro, tanto per non farci mancare mai le mescolanze romane di storia e tradizioni popolari, vi è sepolto anche il Marchese Onofrio del Grillo, ispiratore vivente di un famoso personaggio romanesco portato poi alla popolarità planetaria nell’era contemporanea dall’interpretazione di Alberto Sordi diretto da Monicelli.

Della morte del Borromini diremo al termine della nostra storia, qui però possiamo contrapporre i due irriducibili antagonisti anche nella sepoltura. Borromini qui, in una delle chiese di via Giulia; Bernini in basilica, a Santa Maria Maggiore. Faremmo un torto al Bernini però se lo volessimo rappresentare superbo e presuntuoso anche da morto. In realtà la sua tomba è sì vicino all’altare maggiore, ma coperta da una semplicissima lapide. Nessun sepolcro monumentale, nessun baldacchino marmoreo colmo di statue simboliche come quelli da lui progettati e realizzati per tanti papi, cardinali e signori vari e che possiamo incontrare di continuo disseminati in tutte le chiese di Roma. Solo una lastra di marmo spoglia, e un nome inconfondibile e immortale. La sua grandezza è testimoniata nei secoli non dalla sua tomba, ma da tutte quelle degli altri.

 

 

 

F. Borromini, Galleria prospettica di Palazzo Spada, 1652-1653 - Roma, Piazza Capo di Ferro

G. L. Bernini, Scala regia, 1663-1666 - Città del Vaticano

Tomba di Borromini , in San Giovanni Battista dei Fiorentini

Tomba di Bernini,  in Santa Maria Maggiore

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