viaggi

 

Il Genio e l'Architetto

Serpeggiante itinerario storico-artistico nella Roma Barocca attraverso i capolavori e le dispute fra Bernini e Borromini, con significative considerazioni a favore del Borromini

Introduzione

Parte Prima - Salendo il pendio

Parte Seconda - Sul colle, le ellissi

Parte Terza - Giù per i vicoli e su per le torri

Parte Quarta - L'inganno dei sensi

Parte quinta – Il trionfo del conflitto

Dove le due concezioni dell’arte e delle forme finalmente si danno appuntamento per il duello finale, e dove probabilmente la sfida si conclude con due vincitori

di Alessandro Borgogno - 1/6/2009

Una simile storia doveva trovare prima o poi un suo luogo fatidico, dove consumare fino in fondo il contrasto fino alle estreme conseguenze.

Questo luogo esiste, e la sfida è divenuta perenne, consumandosi tutti i giorni a tutte le ore sotto gli occhi di tutti i frequentatori, abituali e non, di una delle piazze più giustamente famose del mondo.

E’ piazza Navona, nel cuore della Città.

E’ un antico stadio romano, e ne conserva intatta la forma.

E’ un luogo da sempre dominio dell’acqua, quell’acqua che in tutto il nostro percorso non ci ha mai abbandonato, ora seguendoci ora precedendoci. I romani allagavano lo stadio sfruttando le piene del vicino Tevere e vi organizzavano autentiche battaglie navali, in uno degli spettacoli probabilmente più incredibili del mondo antico.

I palazzi rinascimentali hanno poi seguito il perimetro delle rovine dello stadio romano, e questo è diventato piazza. Ampia, lunghissima, luminosa e vivace.

Nel 1648 il papa Innocenzo X commissiona al Bernini la realizzazione della fontana centrale della piazza, che dovrà fare da base ad uno degli obelischi egizi che si stanno innalzando ai quattro angoli della città.

Esiste, per questa fontana, anche un progetto del Borromini, assai più semplice, razionale, ma decisamente poco spettacolare per ciò che si aspettava il papato.

Al Borromini comunque venne affidata la ristrutturazione della chiesa di Sant’Angese in Agone, esattamente di fronte alla fontana. E qui inizia la leggenda, e non potrebbe essere altrimenti giacché i due capolavori si sfidano e si fronteggiano da quasi cinque secoli.

I lavori per la chiesa vennero presi in mano dal Borromini quasi un anno dopo il termine della fontana da parte del Bernini, ed appare quindi strano che il secondo possa aver lavorato anche per sfidare il suo rivale. E’ pur vero però che l’affidamento, o gli indizi in tal senso così come l’intenzione del papa di affidarsi anche all’altro grande architetto per la risistemazione della piazza, potevano essere partiti assai prima, e quindi anche la leggenda è legittima. Del resto, anche fosse tutto frutto della fantasia popolare, il risultato parla agli occhi assai più di qualunque ricostruzione storica. E che sia diretta od indiretta, è una sfida brillante, folgorante e violenta che non perderà mai il suo fascino.

La Fontana dei Quattro Fiumi realizzata dal Bernini è probabilmente il suo capolavoro assoluto. Innalza l’obelisco sopra una struttura in marmo complessa e apparentemente fragile. Lui sa benissimo che è solidissima, calcoli e studi della massima precisione ne assicurano la stabilità. La struttura, che crea quattro aperture lasciando il vuoto al centro, riproduce rocce e montagne, e su esse alberi e piante, e fra di esse animali e mostri, e ad ogni angolo un personaggio simbolico che rappresenta un fiume e con il suo fiume uno dei quattro continenti conosciuti. Il Nilo per l’Africa, il Gange per l’Asia, il Danubio per l’Europa e il Rio della Plata per le Americhe. Un giro del mondo simbolico e vertiginoso dominato dallo scorrere dell’acqua, che mai come in questa fontana non si limita a zampillare e a rinfrescare l’aria, ma scivola e modella, crea forme e vi si integra.

E’ un trionfo di simboli e di forme che realizzano il magico effetto di non essere mai statiche. Palme, leoni, delfini, cavalli, serpenti, coccodrilli, rocce scavate, alberi piegati dal vento, luce che si riflette sul marmo e ombre che nascondono le forme all’interno di caverne.

La prima leggenda vuole che il Bernini, assaporando il trionfo, giocò uno scherzo al papa durante l’inaugurazione: mostrò la fontana senza acqua. Ugualmente bellissima e ugualmente da lasciare tutti a bocca aperta, ma certo con una serpeggiante delusione nella folla e nell’illustrissimo ospite, che però, per educazione, non si azzardò a dire nulla. Quasi al momento del commiato quindi, il Bernini diede un ordine convenuto e l’acqua iniziò a sprizzare da tutti gli anfratti, riempiendo la fontana e mettendone in movimento tutte le straordinarie forme. La folla impazzì di meraviglia e di sorpresa, e Papa Innocenzo pare abbia esclamato: “Cavalier Bernini, con questa vostra piacevolezza ci avete accresciuto di 10 anni di vita!”.

La seconda leggenda, quella che interessa anche la nostra storia, è quella celeberrima che vuole il Bernini ironizzare sull’opera del rivale, atteggiando la statua con il personaggio che simboleggia il Rio de la Plata con un braccio alzato verso la chiesa borrominiana, come a voler dire “Questa prima o poi mi casca addosso”.

Se certamente non è vero che la vicina statua del Nilo abbia il volto coperto per non guardare la chiesa (in realtà il drappo stava a significare che le sorgenti del fiume erano ancora sconosciute), sulla mano alzata a protezione del famoso personaggio è legittimo che resti il dubbio, e ancor più che legittimo è eternamente divertente.

Allo stesso modo nulla può far escludere del tutto che il Borromini, una volta presi in mano i lavori per la chiesa e avendo di fronte lo sberleffo scultoreo del rivale, non abbia proprio per questo accentuato la concavità della facciata e l’avanzamento dei due campanili, dando innegabilmente all’osservatore che si pone sotto di essa l’impressione che l’intero edificio sporga in avanti quasi a cadergli addosso. Di certo è che l’effetto ottico, di cui Borromini era maestro indiscusso, accentua la mole della cupola e la slancia verso l’alto. Più che legittimo però che anche qui resti il dubbio sul significato del restante effetto, e che uno come lui non abbia ottenuto un tale effetto di curvatura in avanti per puro capriccio, men che mai per caso, di certo mai e poi mai per errore. Di certo le polemiche, queste invece documentate, non mancarono, tanto che le svariate insinuazioni sulla tenuta statica dell’edificio e sul suo peso eccessivo sui pilastri sfociarono addirittura nell’estromissione del Borromini prima del termine dei lavori (polemiche infondate, giacché la chiesa è ancora ritta e ben piantata), provocandogli una delle tante delusioni che minarono il suo animo lungo tutta la sua vita.

La chiesa di Sant’Agnese in Agone comunque, al di là delle dispute e dei pettegolezzi, è di una bellezza commovente. E’ maestosa ma proporzionatissima alla piazza, senza mai invaderla, senza mai offuscarne le altre bellezze. E’ in equilibrio instabile e perciò mai statico con ogni altro elemento, e soprattutto appare quasi in simbiosi con la straordinaria fontana ai suoi piedi. Mai come a piazza Navona le due anime artistiche così distinte e così profondamente divergenti trovano un punto di miracolosa sintesi, restando separate ed in contrasto in ogni singola curva e al tempo stesso indispensabili una all’altra. Un miracolo terreno, fatto di acqua, di marmo, di scienza e di passione. Un capolavoro impalpabile custodito da due capolavori ben concreti. La soluzione finale di una equazione sublime il cui risultato è infinito su infinito.

 

Può ben concludersi qui il nostro breve e un po’ schizofrenico viaggio, nel luogo di Roma dove il barocco raggiunge il suo apice e la sua sublimazione, e dove queste sono realizzate non solo dai fatti e dalle opere, ma anche dalle vite, dalle storie popolari, dalle bassezze terrene e dalle leggende che a questi si accompagnano. Di certo mai come in Piazza Navona tutti questi aspetti si fondono in un unicum senza distinzioni nette e senza possibilità di sciogliere definitivamente i dubbi. Di certo proprio questo ne aumenta a dismisura la grandezza.

 

Occorre però seguire, forse a malincuore, in nostri due eroi fino all’altro limite della loro parabola.

Gian Lorenzo Bernini muore il 28 novembre del 1680, alla invidiabile età di 82 anni. Ricco e famoso, e probabilmente in pace con se stesso e con la sua opera, abbandona la vita terrena per l’eternità e lascia all’eternità le sue opere. Niente di davvero incompiuto, niente di irrisolto, nessun particolare mistero da svelare oltre a quelli infiniti che ogni vera opera d’arte raccoglie e nasconde, salvo l’aneddoto secondo il quale, ormai quasi completamente paralizzato, riuscirà comunque a comunicare per l’ultimo atto terreno con il suo confessore attraverso i movimenti delle palpebre e delle narici.

Francesco Borromini sarà diverso nella morte così come lo è stato nella vita. Fatta salva la parentesi di Piazza Navona, dove il Bernini vinse l’appalto della fontana per l’indubbio valore spettacolare del suo progetto anche rispetto a quello del rivale, dopo la morte di Urbano VII e l’ascesa al trono papale di Innocenzo X la sorte era cambiata. Borromini era divenuto più architetto ufficiale di quanto non lo fosse il Bernini, e in questo periodo aveva ricevuto le commesse più importanti, con i già citati lavori di Sant’Ivo alla Sapienza e della Basilica di San Giovanni il Laterano. Nonostante ciò è provato nel fisico e nello spirito. Mistico da un punto di vista religioso e perfezionista sul lavoro, ogni successo lo esalta e ogni insuccesso lo abbatte oltre misura. La sua ricerca di calma e raccoglimento, così mirabilmente esternata negli ambienti interni di San Carlo, non è destinata a trovare facilmente pace. Nel 1667, durante i già citati lavori per la facciata di San Carlino alle quattro fontane, atto ultimo della sua opera forse più compiuta, all’età di 68 anni Borromini si suicida.

Un’altra leggenda vuole che si sia gettato sulla sua spada trafiggendosi così il petto. Una versione più realistica vuole che si sia fatto aiutare da qualche suo allievo per questo ultimo drammatico gesto. Non siamo destinati a saperlo, così come non sapremo mai quale fosse davvero l’insoddisfazione estrema che lo spinse a non cercare più altro dalla sua vita e dalle sue creazioni.

Il Bernini di certo non ne gioì. Seppur avverso e a volte in modo acerrimo, da grande artista quale era non ha mai negato la grandezza del suo rivale. E soprattutto sempre gli riconobbe, e a volte gli invidiò, la sua inventiva così come spesso ammirò la sua fermezza che gli fece molte volte rinunciare a grandi lavori e grandi onori pur di non dover piegare la schiena davanti alle prepotenze di questo o quel potente, signore, cardinale o papa che fosse.

Questi due straordinari artisti rappresentano il sistema nervoso della Roma barocca, i suoi neuroni, le sue sinapsi e i suoi scatti di ira e di vigore. E’ evidente che il sottotitolo che provocatoriamente si è voluto dare a questa passeggiata è un gioco a cui siete stati invitati. Le nostre simpatie vanno senza dubbio al Borromini, come si simpatizza sempre per il fratello più sfortunato o per l’anatroccolo più brutto, ma è evidente che la disputa sulla grandezza dell’uno o dell’altro è destinata a non risolversi mai, tanto diversi e tanto complementari si sono sempre dimostrati, e tanto l’opera dell’uno ne verrebbe sminuita se dovesse sparire d’un colpo l’opera dell’altro.

Sulla natura delle loro diversità invece molto ancora si potrebbe dire e molto potrebbe ognuno di noi scoprire ed aggiungere, affinché invece il titolo principale di tutta questa cavalcata seicentesca, ancor più provocatorio, possa insinuare in ogni lettore e in ogni osservatore il conseguente dubbio da coltivare come preziosa ricchezza.

E che ognuno, secondo la propria percezione e secondo il proprio sguardo, possa autonomamente scegliere e tracciare il labile confine che separa l’Architetto dal Genio.

Del resto, loro per primi ce l’hanno insegnato: la percezione è relativa, e lo sguardo ingannevole.

 

G. L. Bernini, Fontana dei Quattro Fiumi, 1648-1651 - Roma, Piazza Navona

F. Borromini, Sant’Agnese in Agone, 1653-1657 – Roma, Piazza Navona

 

Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 7 dicembre 1598 – Roma, 28 novembre 1680)

Francesco Borromini, nato Castelli (Bissone, 25 settembre 1599 – Roma, 3 agosto 1667)

Tutti i viaggi